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Bloccare l’export italiano di armi non fermerà Ankara. Parla Gaiani

Un passo alla volta. L’Italia può e deve prendere un’iniziativa per rispondere alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Turchia al confine siriano. Ma, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, deve farlo con coscienza e senso strategico, senza mai perdere di vista il quadro complessivo della Nato, che sul futuro di Ankara deve avviare al più presto una seria discussione (e un esame di coscienza).

Direttore, la risoluzione unitaria della Commissione Esteri sull’intervento turco è una buona notizia?

Senz’altro, è giusto chiedere alla Turchia di ritirarsi e tanto più farlo come Europa prima ancora che come Italia. Mi lasciano più perplesso le minacce di bloccare l’export militare.

Perché?

La Turchia è un Paese membro della Nato, è inserita in tutti i meccanismi congiunti dell’alleanza e al momento non è sottoposta ad alcun embargo internazionale disposto dall’Onu.

Quindi? Un blocco da un importante fornitore come l’Italia non avrebbe alcun effetto?

L’Italia è un importante fornitore di materiale militare ai turchi, in particolare dei motori dei loro elicotter T-129 Attack, evoluzione dei nostri Mangusta. Ma un blocco dell’export italiano non fermerà i programmi militari di Ankara. La Turchia ormai produce da sola carri armati e fucili. Anche i droni armati, che già impiega a sostegno del governo di al Sarraj in Libia. E ha un programma che nel giro di cinque, sei anni le consentirà di diventare completamente autosufficiente per l’alimentazione dei sistemi militari.

Qualcosa si potrà pur fare. La Lega ad esempio chiede di ritirare i nostri soldati impiegati in un’operazione Nato al confine turco-siriano.

Iniziativa sacrosanta. Il nostro contributo a quell’operazione si concluderebbe comunque a novembre, anticipare la sua fine non comporta grandi costi. Inoltre lo scopo è proteggere i cieli della Turchia da attacchi siriani. Non si ricordano negli ultimi tempi massicci attacchi aerei contro il territorio turco. Si ricordano invece molto bene le incursioni turche in territorio siriano. Oggi si parla tanto della fascia a Est dell’Eufrate, ma sono anni che i turchi sono presenti in diverse zone del Nord Ovest.

Qual è il ruolo della batteria missilistica al confine?

La presenza di quella batteria del sistema di difesa aerea Samp-T è dovuta a più motivi. Fra questi ce n’è uno commerciale. Quel sistema missilistico di fabbricazione italo-francese era fra i candidati ad essere acquistati dalla Turchia prima che scegliesse i missili russi a medio-lungo raggio S-400. Oggi imporre un blocco dell’export di armi occidentali al governo turco favorirebbe l’export di armi russe in Turchia.

La Nato cosa può fare?

Un’azione congiunta è dovuta. Finalmente l’Europa sta capendo che dobbiamo stare dalla parte dei curdi che per anni hanno combattuto l’Isis. Molti dei nostri alleati hanno dato una mano ai cosiddetti “ribelli moderati” in Siria che ora al fianco dell’esercito turco massacrano i civili curdi. Prima ancora di agire è urgente una rivalutazione di quanto fatto in Siria come Ue e come Nato e anche delle nostre responsabilità di quanto sta accadendo. E bisogna avviare una seria discussione fra alleai sul senso della presenza nella Nato della Turchia, con cui non c’è più alcun valore condiviso.

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