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Ritorni di massa

In un ipotetico dialogo tra Hannah Arendt e Shoshana Zuboff, autrice del fondamentale (e radicale) “Il capitalismo della sorveglianza” (2019), ritornerebbe prepotente il tema della massa. Perché dovremmo renderci conto, tutti noi che ci occupiamo della condizione umana nella storia che evolve, che quel nodo irrisolto continua a riemergere sotto varie forme.

La partita di un progetto di civiltà post-totalitario, in laboratori progettuali che auspichiamo, non può fare a meno di affrontare la partita davvero strategica di esseri umani che continuano a navigare, disordinatamente e in maniera confusa, nel grande mare della eterodirezione. Le maggioranze, quelle che qui chiamiamo masse, come si muovono nel rapporto tra libertà e potere ? Il mondo dell’interconnessione ha dato loro, cioè a ciascuno di noi, le chiavi culturali per comprendere il valore della libertà nella società digitale e la metamorfosi del potere ?

Han scrive di “potere intelligente”, che si plasma sulla psiche. Zuboff del “capitalismo della sorveglianza” che “si appropria della natura umana per produrre le proprie merci”. Affinché queste citazioni non restino solo parole ma perché diventino strumenti di riflessione, dovremmo prendere atto che, oggi come qualche decennio fa, il tema di fondo è certamente culturale ma è, prima di tutto, politico.

E’ la politica come azione storica di soggetti consapevoli l’unico antidoto possibile alla eterodirezione. Invocare il popolo, che è già massa, significa giocare una partita di casta, da qualunque parte lo si faccia. Il nuovo che avanza, non ci importa la posizione, viaggia sopra una realtà profondamente problematica; ogni novità, infatti, porta con sé benefici se viene calata nelle “viscere” di ciò che abbiamo ereditato e se contribuisce, anche con dolore, a mostrare le crepe aperte di una condizione umana  in evidente difficoltà di senso, di significato e di coesione.

Non so se la storia ci insegni qualcosa (comincio a dubitarne) e non so se abbiamo voglia di imparare ma è evidente a tutti che l’atto del giovane uomo (iper-tecnologizzato ma profondamente radicalizzato) che, poche settimane fa, ha sparato contro la porta di una sinagoga nel cuore dell’Europa, così come la drammatica situazione delle “minoranze” in giro per il mondo, sono segni inequivocabili: che ci piaccia o no, abbiamo un problema di civiltà.

 

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