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Turchia, Albania e Macedonia. Perché Bonfrisco (Lega) suggerisce prudenza

L’Ue impari dalla crisi con la Turchia, ammonisce l’eurodeputata della Lega Cinzia Bonfrisco. Ovvero con i Balcani occidentali va perseguita la strategia degli accordi commerciali prima che dell’allargamento (“strumento che non può non essere attualizzato rispetto alle evoluzioni di questi Paesi”). La conversazione con Formiche.net arriva a pochi minuti dal voto su due risoluzioni. La prima, proposta dai socialisti, sulle ong e su Carola Rackete è bocciata in aula (“L’Europa – dice Bonfrisco – comincia a capire che Matteo Salvini su questo tema aveva ragione”). La seconda il Parlamento europeo ha sottolineato che sia Albania che Macedonia del Nord soddisfano i requisiti per avviare i negoziati di adesione, per questo esprime profonda delusione per l’incapacità di concordare l’apertura dei colloqui per le adesioni all’Ue.

Dialogo con Albania e Macedonia sì, ma rivedere i processi di adesione: in che modo?

Il caso Turchia ieri e il caso Albania e Macedonia del Nord oggi, mettono in evidenza come lo strumento dell’allargamento, processo che dura molti anni, non può non essere attualizzato rispetto alle evoluzioni di questi Paesi. Dico sempre che l’Albania odierna non è quella di 30 anni fa e va guardata con attenzione per i mutamenti geopolitici che sono intervenuti. L’Albania ha oltre il 50% di cittadini musulmani, moltissimi con doppio passaporto turco-albanese e la Turchia è un paese dalla grande influenza nel Paese delle Aquile. Per cui noi se da una parte stigmatizziamo la Turchia di oggi chiudendole le porte dell’Ue, dall’altro non possiamo però nascondere il fatto che Ankara possa rientrare in Ue dalla finestra, attraverso l’Albania.

Il costone balcanico quindi più opportunità o agorà di rischi?

Addirittura in Kosovo la presenza musulmana è del 95%, in Macedonia del nord del 28. A ciò va aggiunta la grande preoccupazione verso due elementi. In primis il loro adeguamento allo stato di diritto che è arretrato, non parliamo di quello europeo su libertà e libertà individuali. In secondo luogo la penetrazione delle criminalità: traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani, con la tendenza ad una visione politica oligarchica e non certo democratica. Senza dimenticare l’influenza cinese che sul costone balcanico è oggettiva. L’insieme di questi fattori costituisce una forte minaccia alla coesione europea e a quello stile di vita europeo che vorremmo diventasse uno status della nostra cultura.

Cosa insegnano anche in ottica Nato questi processi di adesione e di allargamento tarati su Turchia, Albania e Macedonia del nord?

Proponiamo che la Nato faccia una seria riflessione sulla presenza turca al proprio interno. Oggi, per come sono andate le cose, non abbiamo a che fare con la Turchia di 20 anni fa, ma con un Paese che anche rispetto alla vicenda curda ha dimostrato di essere ben lontano dallo spirito di un’alleanza atlantica. Tutto ciò implica naturalmente che le soluzioni politiche, poi, mantengano vivo e aperto il dialogo: mentre il dialogo è nostro dovere, l’allargamento lo abbiamo sempre inteso come elemento di arricchimento.

In quel caso non lo sarebbe?

Non può tradursi in impoverimento dell’Ue o in una minaccia. Sarebbe un allargamento sulla carta che poi si manifesta come un grande pericolo per l’Europa. Quindi non si potrà parlare di adesione fino a quando non avremo garanzie sufficienti per non considerare quei Paesi un pericolo per l’equilibrio europeo. Giocare il grande ruolo di protagonista nello scacchiere geopolitico con autonomia strategica, come dice l’Europa, impone che la stessa Ue chiarisca al proprio interno quali sono non suoi i confini geografici ma quelli culturali e politici dentro i quali volentieri vogliamo ricomprendere chiunque creda nei nostri valori e nella forza delle nostre democrazie.

Il mancato ok a Macedonia del nord e Albania mina l’obiettivo strategico dell’Ue, ovvero l’allargamento a tutto il costone balcanico?

Direi che c’è un’Europa che va avanti su una certa strada, senza curarsi delle realtà che emergono, ma fedele solo ad un principio ideologico. Osservo che l’allargamento a tutti i costi ha un prezzo elevatissimo, per l’oggi e per il domani. Ascrivo ai tanti fallimenti europei anche questo tema delle adesioni a tutti i costi. Certo che ne risulta inficiata l’immagine di un’Europa che si ostina a dire cose scollegate dalla realtà. Possiamo far finta di non vedere tutto questo? Ha senso invece un allargamento che allarghi le opportunità dei cittadini europei per rafforzare lo status e l’economia. L’allargamento come principio piace molto anche a me, ma va misurato poi sulla realtà.

Al contempo in aula avete votato anche la risoluzione proposta dai socialisti sul soccorso in mare nel Mediterraneo, bocciata anche grazie ai voti della Lega…

Puntava alla valorizzazione del ruolo delle Ong, anche al di fuori del contesto del diritto marittimo e del diritto internazionale. Si tratta del tentativo di dare copertura all’attività di Carola Rackete che però è stato respinto dal Parlamento Europeo. I nostri emendamenti erano proprio quelli che puntavano a mettere in evidenza che i comportamenti del capitano Rackete forse erano fuori dalla legge. L’Europa comincia a capire che Matteo Salvini su questo tema aveva ragione. Il Parlamento Europeo oggi ha sancito che la linea della Lega è quella giusta ed è quella che sta nel rispetto delle leggi nazionali ed internazionali, oltre che nello spirito europeo che dovrebbe far affrontare il tema dell’immigrazione con particolare attenzione e difesa dei confini.

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