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Cina come l’Urss, perché il summit Nato a Londra farà storia. Parla Molinari

Si apre oggi il summit Nato a Londra, e con esso una nuova fase delle relazioni internazionali. Come nel 1947 i Paesi occidentali furono costretti a confrontarsi sulla postura da assumere nei confronti dell’Unione Sovietica, così adesso, spiega a Formiche.net il direttore de La Stampa Maurizio Molinari, Europa e Stati Uniti devono definire una linea comune per far fronte alla Cina. Un’opportunità storica per l’Italia, che ha qualche carta da giocare.

Direttore, cosa aspettarsi da questo summit Nato?

Sarà un summit senza precedenti. La sfida con la Cina costituisce un nuovo terreno sul quale l’Italia, che con Pechino ha un buon rapporto commerciale, può svolgere un ruolo importante. C’è una grande opportunità politica, i Paesi devono ancora definire la loro posizione. Siamo alla fase uno.

Cosa intende per fase uno?

È un momento iniziale del confronto globale con la Cina. Come nel 1947 con l’Unione Sovietica, oggi le grandi potenze occidentali si devono confrontare per scegliere una linea e definire insieme i rapporti con Pechino. Se l’Italia ha idee migliori di francesi, tedeschi, americani deve tirarle fuori in questo summit, l’errore maggiore sarebbe non sfruttare questa occasione.

C’è solo la Cina nell’agenda italiana?

No, per il governo italiano la priorità resta il raggiungimento del 2% del Pil in spesa per la Difesa come da accordi presi. A Londra gli Stati Uniti non faranno sconti. In secondo luogo c’è la questione libica. Francia, Germania e Regno Unito hanno in programma un trilaterale cui, al momento, l’Italia non è stata invitata e ultimamente ha molto ridotto il suo profilo nella regione. Sul confronto con la Cina, però, l’Italia può davvero fare la differenza.

Questo governo è stato accusato di un’eccessiva vicinanza a Pechino. A Washington se ne sono accorti?

Qualsiasi cosa avvenga in Italia è seguita dagli Stati Uniti. Al summit di Londra il governo italiano dovrà dare la sua versione. Due saranno i temi che il governo americano e i vertici della Nato porranno al nostro Paese. Il primo riguarda le misure approntate per aumentare la sicurezza della rete 5G, come il golden power e il decreto cyber. Il secondo invece la possibilità di porre assieme la questione dei diritti umani in Cina.

Qui le distanze con gli americani sono evidenti.

I consiglieri di Conte stanno lavorando a una posizione del governo da esporre durante l’incontro con Trump. Quella americana è nota: linea dura con Pechino sia sui dazi commerciali sia sui diritti umani, e mediazione per un accordo sul disarmo.

Anche Francia e Germania hanno manifestato approcci diversi.

È normale che non ci siano posizioni univoche, questo summit non deve essere letto con la lente dei fronti contrapposti. La cancelliera Angela Merkel ha invocato un’azione unitaria europea sulle tecnologie emergenti, i francesi sono più restii ma concordano con gli americani sulla politica commerciale.

Non dimentichiamo però che Macron ha definito la Nato in “morte cerebrale”.

Macron ha interesse ad aumentare il profilo della Francia all’interno della Nato. È una mossa strategica per chiedere più spazio, che testimonia una fase di trasformazione in cui tutti si stanno riposizionando e si creeranno nuovi equilibri.

Chi è oggi l’alleato europeo ritenuto più affidabile dagli Stati Uniti?

Dipende dai dossier. Su quello cinese il Paese oggi più vicino agli Stati Uniti è il Regno Unito, perché è garante degli accordi di Hong Kong. Sarà questo un discrimine importante per Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La crisi sull’isola deve essere affrontata da tutte le democrazie o solamente da Washington e Londra che sono direttamente chiamate in causa?

Torniamo alla Nato, che è stata creata per difendere l’Europa dalla minaccia militare russa. La Cina oggi può essere considerata tale?

La Cina non è in questo momento una minaccia militare, ma questo non toglie che non si possa rimandare la definizione di una strategia Nato per confrontare l’espansione dell’influenza cinese. Come ha riconosciuto lo stesso segretario Jens Stoltenberg, se non arriveremo noi in Cina, la Cina arriverà da noi.

La “Via della Seta” cinese ha un potenziale militare?

È anzitutto un’operazione commerciale. Nessuno è in principio contrario al commercio. Il problema sotteso al piano di Xi Jinping attiene ai diritti umani, alla concorrenza sleale, alla sicurezza cibernetica della rete 5G. Sono nuovi fronti che non possono più essere ignorati.

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