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Il Natale e la libertà. Una riflessione filosofica

In altri tempi anche chi scrive ha difeso il consumismo, come motore di progresso economico, civile e persino umano. E non ha fatto proprie le critiche che al progressivo trasformarsi del Natale in una sarabanda di consumi voluttuari, che poco o più nulla avevano a che fare con la sacralità della festa, venivano fatte da più parti.

Oggi forse quella analisi andrebbe corretta, non in virtù di ideali economici di “sobrietà” e “decrescita”, che non sono i miei, ma perché si è fatto sempre più chiaro il nesso fra il consumismo e la desacralizzazione dell’Occidente. La dominante mentalità illuministica e progressista ha infatti messo in crisi, relegandolo a superstizione, il Cristianesimo, rifiutando in questo modo in toto la sua concezione del mondo e dell’uomo. La nascita, che è l’elemento attorno a cui ruota la nostra religione, ha perso ogni mistero ed ogni alone di miracolo ed è stata ridotta a “evento naturale”: programmabile, modificabile, annullabile. La vita si è perciò ridotta a “natura” e l’uomo a “materiale umano”. Quest’opera di “naturalizzazione” ha reso tutto ciò che è presente nell’universo uguale, misurabile, quantificabile, e quindi controllabile e forgiabile. La trascendenza è stata eliminata, e così anche ogni possibilità per l’uomo di trascendersi. In una parola, l’uomo ha voluto farsi Dio e si è anche spesso sostituito a Lui.

L’idea del limite è scomparsa, ma con ciò è scomparsa anche la libertà trasformandosi in arbitrio. Tutto diventa così oggetto di consumo, e come tale soggetto alle leggi del desiderio e della preferenza, che per definizione sono “liquide” e instabili. La teoria del gender, che predica l’equivalenza e la fluidità delle preferenze sessuali, ha ad esempio successo anche perché viene ad essere funzionale all’azione non solo delle centrali della manipolazione politica ma anche a quelle del consumismo economico (le cosiddette élite a cui si oppongono le forze populiste).

Individui anonimi e sradicati sono facilmente sottomissibili alle logiche di potere, molto più di individui con una forte identità e una forte personalità. L’alleanza fra relativismo liberal e liberismo dogmatico è perciò nei fatti. E a farne le spese è proprio la libertà concreta degli uomini, quella predicata dal Cristianesimo, e dal liberalismo classico che ne è figlio e che in esso affonda le proprie radici: l’essenza più profonda del nostro Occidente.

Il Cristo che nasce oggi ci ha insegnato che tutti gli uomini sono dotati di libero arbitrio, ma sono anche segnati dal peccato originale: sono quindi esseri finiti, imperfetti, sottomessi all’errore da cui apprendono attraverso tentativi mai compiuti di superarlo. Un uomo che si sentisse onnisciente e onnipotente, detto altrimenti, non sarebbe veramente libero, ma soggetto ai capricci e ai desideri contrastanti e manipolabili della propria volontà. Il problema del male non può essere perciò aggirato, almeno per i cristiani fino al giorno della “redenzione”, ed è esso che rende concreta e reale la libertà, che è poi la parte divina della nostra umanità. Gli uomini hanno una “scintilla divina”, e perciò sono diversi e “superiori” a tutti gli altri esseri del creato (altro che animalismo!). Essi hanno anche il compito di dominare la natura di cui sono stati fatti “padroni” da Dio, non di corrispondere ad essa in un tutto senza confini come è il mondo di Gaia (altro che ecosostenibilità!). Essi sono però altresì sottomessi a Dio e all’universo dei valori. Il naturalismo e lo scientismo dominanti hanno dimenticato tutto questo, cioè l’ordine gerarchico del mondo. Il Dio che si è incarnato e fatto uomo, il Cristo che nasce oggi, è venuto proprio per ricordarcelo. Corrispondere al suo messaggio è nel nostro Occidente in declino sempre più difficile, ma è ineludibile più che mai: ne va di mezzo la nostra libertà, anche se la mentalità comune ci fa apparire vero il contrario.

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