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Perché abbiamo bisogno di un nuovo contratto per il Web

Di Pablo A. Mazurier

Durante l’ultima settimana di novembre a Berlino ha avuto luogo l’incontro mondiale dell’Internet Governance Forum. In questa occasione Tim Berners-Lee, il creatore del World Wide Web e presidente della Fondazione WWW, ha presentato ufficialmente il documento finale “Un Contratto per il Web”, progetto cominciato un anno fa, proponendo principi che gli Stati, le aziende digitali e i cittadini del mondo dovranno rispettare per difendere il Web e renderlo accessibile, sicuro e produttivo per l’altra metà dell’umanità che ancora rimane digitalmente invisibile.

LE RESPONSABILITÀ DEI GOVERNI…

Secondo il “Contratto”, i governi devono proteggere e promuovere alcuni principi cardine.

  • L’accessibilità, assicurando “a tutti la connessione a internet”, attraverso politiche fiscali, di sviluppo di strutture nazionali e di promozione di produzione di applicazioni e contenuti locali.
  • L’apertura d’internet, mantenendo internet “a disposizione di tutti ad ogni momento”. L’obiettivo qui è quello di limitare lo “spegnimento” di internet da parte degli Stati, una pratica che è diventata comune soprattutto in tempi di crisi e movimenti sociali, come succede ora ad esempio in Iran. Inoltre, si chiede agli Stati di stabilire procedure giudiziarie specifiche, trasparenti e ragionevoli per la rimozione di contenuti illegali o lesivi di diritti.
  • La privacy e il controllo di ogni persona sui propri dati online, rendendo trasparente e minimizzando la raccolta di dati solo a quelli “adeguati, rilevanti e necessari” per soddisfare specifici interessi pubblici. Lo scopo è quello di permettere a ogni utente l’uso libero, sicuro e senza nessuna paura dell’internet.

…E DELLE AZIENDE.

Dalla loro parte, le compagnie devono rispettare altrettanti principi:

  • Non esclusione dal uso del web: le aziende digitali devono contribuire a rendere internet accessibile a tutti con la stessa qualità di collegamento e di distribuzione dei contenuti, soprattutto alle minoranze e ai gruppi sistematicamente esclusi. Su questo punto la Fondazione WWW sottolinea come le donne abbiano oggi un 31% in meno di possibilità di accesso ad internet. Si devono quindi implementare strategie inclusive non solo di accessibilità ma anche di alfabetizzazione digitale.
  • Rispetto e protezione della privacy come mezzo per costruire la fiducia online: internet rappresenta un vero istrumento di miglioramento individuale e sociale nella misura in cui la gente si approccia in modo sicuro ad esso. Le aziende devono concentrarsi su politiche di trasparenza quando si tratta di raccogliere ed utilizzare i dati personali, in maniera responsabile nei confronti dei diritti dei cittadini.
  • Sviluppare tecnologie che promuovano “il bene dell’umanità”: le aziende devono essere orientate verso la responsabilità, la trasparenza, l’inclusione, il rispetto per i beni comuni, l’interoperabilità e l’apertura delle conoscenze digitali a tutti.

I DOVERI DEI CITTADINI

Inoltre, i cittadini devono collaborare per contribuire a fare del Web uno strumento di ricchezza per tutta l’umanità. Si devono creare comunità online forti che rispettino la dignità umana, promuovendo l’accesso di tutti alle idee e alle opinioni che mirano a migliorare l’educazione, la fiducia e l’inclusione di tutti. Viene quindi esplicitato un appello ai cittadini del mondo a lottare per il web. Questa “lotta” dovrà essere incentrata verso una coscienza globale non solo sui benefici di un’internet libero, ma anche sui rischi del cattivo uso della rete da parte degli Stati e delle aziende. Necessitiamo quindi di una cittadinanza attenta, che chieda ai rappresentanti politici e alle aziende un adeguato livello di rispetto delle norme.

I PRECEDENTI

Si tratta quindi di principi applicabili a tutti gli attori del Web ed è importante sottolineare come questo tentativo non sia del tutto innovatore. Già nel 2014 infatti, il Netmundial ha creato un elenco di principi e diritti forse più completo e chiaro, sia dal punto di vista analitico che di redazione giuridica, rispetto al suddetto Contratto.

COSA C’È DI NUOVO

Il fattore che sembra avere carattere innovativo in quest’ultimo è la struttura tripartitica, nonostante siano da evidenziare due critiche a questo proposito. In primo luogo il Contratto non instaura una reale piattaforma di discussione futura che metta le tre parti in contatto e che garantisca uguali poteri di negoziazione e di partecipazione al fine di trovare soluzioni comuni. Come puntualizza il Direttore di Strategia e Partenariato della World Wide Web Fundation José M. Alonso durante la presentazione al IGF di Spagna, trovare una soluzione dia attuazione a questo Contratto risulta ancora oggi difficile per tutto l’ecosistema di internet. Rimaniamo quindi ancora fermi a cinque anni fa – tempo che per il digitale rappresenta tutta un’intera generazione – quando dopo il successo internazionale del Netmundial celebratosi nel Brasile, tutti gli attori trovarono difficoltà nell’implementare e attuare i principi attraverso una vera “roadmap”, rete di negoziati aperti a tutti, come portato avanti dal Ceo di ICANN Fadi Chehade in occasione della Netmundial Initiative.

L’ESCLUSIONE DELL’ACCADEMIA

Un’ulteriore critica si riferisce al fatto che le comunità scientifiche ed accademiche vengano lasciate in disparte, nonostante entrambe posseggano storicamente il merito di aver portato avanti il vero spirito di apertura “multistakeholder”, modello di governance di internet vincente negli ultimi due decenni. La governance di internet infatti deve rispecchiare sempre la natura del web: essere libera a tutti, dare potere a tutti, migliorare grazie all’impegno di tutti. L’aspetto più importante rimane ancora oggi quello di trasformare gli ideali in difficoltosi ma altrettanto potenti meccanismi decisionali e di promozione dell’innovazione digitale.

COS’È L’IGF

Ci sará molto da discutere all’interno dell’IGF Globale, istituzione che, sebbene nata come tentativo dei governi nazionali di prendere controllo sull’agenda-setting delle tematiche digitali – e infatti è istituzionalizzata sotto l’ombrello delle Nazioni Unite -, è tuttavia cresciuta con lo spirito multistakeholder di controbilanciamento alla volontà di certi Stati di sottometterla ad un sistema intergovernamentale. L’IGF rimane infatti soltanto un organo di discussione, senza nessuna capacità di prendere decisioni con potere d’imposizione sugli attori dell’ecosistema di internet.

CHI CONTROLLA DAVVERO INTERNET?

Nonostante vi sia un chiaro riferimento del Contratto a un rapporto di potere a tre, non si intravede chiaramente come ciò possa essere determinato o bilanciato in futuro. Questo riporta alla mente la conferenza del 2016 all’Università di Oxford, quando entrambi i rappresentanti di Google e del Governo statunitense risposero alla domanda “chi ha il vero potere su internet?”, affermando che il vero potere lo aveva l’altra parte. Su questo punto è importante ricordare che i governi vedono sempre di più i propri poteri pubblici erosi di fronte alle gigantesche aziende digitali globali che monopolizzano i contenuti e hanno ogni volta più potere sui cittadini, conoscendo i loro desideri, gusti, pratiche sociali e persino i vizi più nascosti. Dall’altro lato i cittadini consentono la raccolta di dati e non si rendono pienamente conto di quanto ciò possa essere pericoloso. Le aziende sono spesso sottoposte ad una limitazione delle loro attività da parte delle autorità pubbliche, le quali ostacolano, in alcuni casi, l’innovazione e l’implementazione di vere rivoluzioni sociali, come sta accadendo per temi relativi ad esempio alla mobilità autonoma e alla logistica dell’e-commerce.

UNA VIA D’USCITA

Trovare quindi un bilanciamento fra questi due giganti è essenziale, in quanto le ripercussioni sono e saranno sulle spalle dei cittadini, affascinati dalla tecnologia, ma sfortunatamente spesso ignoranti del loro diritti in merito così come degli effetti futuri del proprio comportamento online. La fiducia nella tecnologia come mezzo di miglioramento sociale deve essere accompagnata dalla conoscenza, trasparenza e cooperazione. In questo senso, il Contratto sul Web è sulla strada giusta ma, come qualsiasi strumento di politica transnazionale, non deve mai essere preso in considerazione come un punto d’arrivo bensì come una piattaforma di partenza per mettere in atto le vere soluzioni alle sfide che la communità globale deve affrontare.

L’autore ringrazia la dott.ssa Chiara Tarasco per la collaborazione nella revisione di questo articolo.

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