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La plastic tax non è la strada giusta. Parola di Corrado Clini

È molto difficile che la tassa sulla plastica possa raggiungere l’obiettivo di ridurne i consumi. Infatti una tassa nazionale sulla produzione ha effetti distorsivi sulle imprese italiane, ma non è efficace sui produttori europei, che al contrario sono favoriti dall’applicazione della tassa in Italia perché saranno più competitivi nel mercato europeo e globale. Inoltre, non è difficile immaginare che la tassa sarà difficilmente applicabile alle importazioni perché in contrasto con le regole del mercato unico.

Insomma, la tassa avrà molti effetti, ma non quello di ridurre i consumi. L’unica strada nazionale percorribile è quella di promuovere il riciclo, il recupero e il riuso della plastica. Vengono spesso e giustamente ricordati i primati italiani nella raccolta differenziata e il riciclaggio delle plastiche. Ma il riuso delle plastiche come materia prima seconda è molto scarso e limitato solo ad alcune tipologie impiegate per la produzione di bottiglie e di contenitori alimentari.

La gran parte delle plastiche recuperate con la raccolta differenziata in Italia, le poliolefine miste che sono tra il 60 e 70% di tutti i rifiuti della plastica, non viene recuperata, se non in minima parte negli impianti di termovalorizzazione. E, come stiamo sperimentando da quando la Cina ha vietato l’importazione di rifiuti di plastica dall’Europa, i depositi “temporanei” sono stracolmi di questi rifiuti e spesso vanno a fuoco per strane “autocombustioni”.

Il riuso di queste plastiche è limitato da tre ordini di fattori: la loro classificazione come rifiuto, che ne limita fortemente la lavorazione e il riuso; la scarsa applicazione delle norme e degli obblighi per gli acquisti verdi, nonostante la legge del 2015, che tra l’altro prevedono l’obbligo per le Amministrazioni pubbliche di privilegiare la fornitura di manufatti prodotti con materie prime seconde; il basso prezzo della materia prima per la produzione della plastica “vergine”, ovvero la virgin nafta agganciata al prezzo del petrolio. Di conseguenza, per ridurre la quantità di plastica vergine, sono due le azioni necessarie a livello nazionale e una a livello europeo.

Applicare l’articolo 3 della Direttiva europea 2008/98, che prevede la cessazione della qualifica di rifiuto per i materiali selezionati con la raccolta differenziata e lavorati, che hanno un mercato come materie prime seconde e non comportano impatti negativi sull’ambiente. Le poliolefine miste possono essere recuperate e riusate con evidenti vantaggi per l’ambiente.

Ma in Italia il cosiddetto End of waste viene rimpallato da anni tra le Amministrazioni, con vantaggi solo per chi specula – legittimamente o meno – sui rifiuti; applicare rigorosamente la legge 221 del 28 dicembre 2015, e le successive disposizioni dei decreti legislativi 50/2016 e 56/2017, in materia di acquisti verdi e criteri ambientali minimi per gli appalti pubblici, al fine di creare un mercato effettivo per i manufatti prodotti con plastica riciclata.

Per quanto riguarda la riduzione del costo della plastica riciclata rispetto alla plastica vergine, è evidente che è necessaria l’applicazione di una carbon tax, ma è altrettanto evidente che questa tassa deve avere un effetto neutro per i produttori nazionali, ovvero deve essere applicata in modo uniforme in tutto il mercato europeo. Se invece l’obiettivo della plastic tax è quello di fare cassa e danneggiare le imprese italiane del settore, siamo sulla strada giusta.

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