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In Libia la tregua è saltata. Nessuno ferma le armi

Il Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico (Gna) guidato dal premier, Fayez al Serraj, ha detto ufficialmente che “sarà tenuto a riconsiderare la sua partecipazione a qualsiasi dialogo a causa delle violazioni del cessate il fuoco” da parte delle forze di Khalifa Haftar, il capo miliziano in testa al cosiddetto Esercito nazionale libico (Lna), che dal 4 aprile dello scorso anno tiene sotto assedio la capitale nel tentativo di rovesciare il governo sponsorizzato dall’Onu e intestarsi il Paese come nuovo rais.

Si tratta del dialogo tra cinque esponenti per lato impostato ancora solo sulla carta nelle ultime due settimane (ieri sono stati comunicati i nomi dei partecipanti per il Gna e l’Lna, ma di fatto nulla s’è mosso ancora). Il Consiglio ha anche aggiunto di ritenere gli sponsor del cessate il fuoco “responsabili della mancanza di impegno da parte dell’altra parte”, aggiungendo che il il cessate il fuoco era stato firmato da Tripoli “per fermare la loro ingerenza”. Il riferimento va alla Conferenza con cui una serie di attori internazionali interessati con diverse sfumature e magnitudo alla crisi libica, il 19 gennaio si sono riuniti a Berlino per implementare una tregua raggiunta una settimana prima.

In quell’occasione Serraj e Haftar avevano evitato a tutti i costi di incontrarsi – ed è già questa una misura della scarsa efficacia dell’iniziativa dal punto di vista pratico. Un grande incontro diplomatico all’interno del quale si erano mossi attori molto interessati alla crisi, come la Turchia – che dà sostegno militare al Gna – e come gli Emirati Arabi, maxi sponsor haftariani anche in chiave anti-turca.

Abu Dhabi usciva da Berlino come grande vincitore, faceva notare su queste colonne Karim Mezran dell’Atlantic Council. Gli emiratini stanno continuando a spingere Haftar perché considerano l’opzione militare come la principale sul piatto. I perché di questo coinvolgimento sono da leggere nella ricostruzione di certe dinamiche fatta attraverso un’intervista a Cinzia Bianco dell’Ecfr, fatto sta che gli Emirati stanno fornendo un grosso aiuto militare alla Cirenaica.

Dal 12 gennaio, giorno in cui Turchia e Russia chiudevano con le parti libiche un cessate il fuoco, ci sono stati 37 voli che dagli Emirati Arabi sono arrivati verso la Libia (lato Haftar). Si tratta di grandi aerei da trasporto come Il-76 o An-124, probabilmente carichi di armi e forze anche di unità di terra. Un elemento che fa da game changer se si considera che, secondo i dati Onu, sul fronte libico combattono non più di mille miliziani per lato – solitamente messi a rotazione su tre turni giornalieri.

Davanti a certi presupposti, era improbabile che la tregua potesse reggere nonostante l’incontro di Berlino. “Possiamo considerarla saltata” dice una fonte da Misurata, città che difende militarmente e politicamente il Gna: “Tra l’altro ieri Haftar ha bombardato con l’artiglieria Mitiga ancora una volta (si tratta dell’aeroporto civile di Tripoli, unico scalo utilizzato dalle compagnie internazionali nel Paese, ndr)”. Dal campo viene riferito anche di un tentativo di avanzata da Sirte verso Misurata, ma “è stato respinto con perdite”.

Se dal lato orientale la guerra non si ferma, dalla Tripolitania c’è tutta l’intenzione di rispondere. Tripoli rivendica di aver respinto in modo pro-attivo un attacco via terra nelle zone di Abu Qrain, Qaddahiya, Washca. L’operazione è stata “sostenuta con l’aiuto di mercenari e coperta da aviazione estera”.

Fin dall’inizio del conflitto gli Emirati sono accusati di fornire droni e piloti per i bombardamenti haftariani, e allo stesso tempo di aver finanziato una campagna di ingaggio di mercenari sudanesi e ciadiani che sono serviti a infittire le linee dell’Lna. Sull’altro lato, la Turchia fa qualcosa di simile: oltre al comporto aereo, con strumenti di difesa terra-aria, starebbe aiutando Tripoli anche con l’ausilio di miliziani siriani spostati dal fronte anti-assadista per combattere Haftar. Sarebbe tremila già in Libia, secondo me informazioni uscire oggi sul quotidiano d’opposizione Ahval, più altri contractor della compagnia privata Sadat presenti già da svariati anni.

Fermare l’appoggio esterno ai fronti in guerra, facendo rispettare le direttive già imposte dall’Onu, era considerato l’obiettivo principale della conferenza di Berlino.

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