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Regionali, Medio Oriente e la svolta di Zingaretti al Pd. Parla Piero Fassino

La crisi mediorientale, la campagna elettorale e i mutamenti del Partito Democratico. Un movimento che, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di “svolta” annunciata dal segretario Nicola Zingaretti, si appresta ad attraversare un momento complesso. Peraltro in una fase storico-politica nella quale, anche nelle regioni più tradizionalmente legate alla tradizione di sinistra, sta perdendo terreno. Da questo punto di vista, fondamentale sarà la partita delle elezioni in Emilia Romagna il prossimo 26 gennaio. Per affrontare questi temi abbiamo fatto due chiacchiere con Piero Fassino, ex sindaco di Torino, deputato e navigato politico è una delle ‘eminenze’ nobili del Partito Democratico.

Fassino, partendo dalla “svolta” annunciata dal segretario Nicola Zingaretti. Che idea si è fatto lei?

Nell’ottobre 2017, in occasione del decennale dalla fondazione del Partito Democratico, io ho scritto un libro dal titolo “Pd davvero” (La Nave di Teseo) nel quale elencavo, argomentandole, le sfide e le battaglie che il partito deve perseguire per un rilancio che dia piena attuazione alle ragioni per cui facemmo il Pd. E, dunque, mi sento in sintonia con Zingaretti quando propone un radicale rinnovamento che ci consenta di essere una forza riformista, plurale e democratica aperta alla società, capace di allargarsi ad altri mondi e sappia dare cittadinanza alle nuove istanze che maturano nella società italiana. Ad esempio l’apertura ad un movimento come le sardine. In definitiva, il Pd deve essere un fattore di innovazione della politica, nel solco dei suoi valori fondativi. Una forza capace di affermare valori di libertà e di giustizia facendo i conti con questo nuovo secolo e le sfide nuove che il secolo ci propone.

Una pagina decisiva non solo per il futuro, ma per tutto quello che rappresenta la storia del Partito in quella zona, sarà quella delle elezioni regionali del 26 gennaio in Emilia Romagna. Come vede il candidato Bonaccini?

Bonaccini è stato un ottimo Presidente di Regione, capace di far raggiungere all’Emilia Romagna standard economici, sociali e di qualità della vita nettamente superiori a quelli che conoscono molte regioni italiane. Differentemente dalla scorsa tornata elettorale, nella quale la percentuale di affluenza fu poco superiore al 35%, oggi vedo che l’interesse e l’attenzione per l’Emilia Romagna sono altissime.

Cosa differenzia maggiormente i due principali contendenti per viale Aldo Modo, Lucia Borgonzoni e Stefano Bonaccini?

Bonaccini ha dato prova, coi fatti, essere stato un ottimo presidente, dimostrando competenza, capacità gestionale, doti di leadership. È figlio della società emiliana e ne interpreta solidamente i caratteri. Tutte cose che la Borgonzoni non ha. In più, basta osservare con attenzione l’impostazione della campagna elettorale per capire come, mentre Bonaccini parla delle cose fatte in questi cinque anni e di quel che vorrà fare nella prossima legislatura, la Borgonzoni non va aldilà di slogan demagogici e senza contenuti. Tant’è che la campagna la sta facendo Salvini, il quale vuole utilizzare le elezioni regionali per scardinare l’attuale maggioranza di governo nazionale. A Salvini dell’Emilia non interessa nulla, vuole usarla come una clava da usare a Roma.

Sicuro però, un peso queste elezioni regionali l’avranno anche sugli assetti governativi.

Certo: l’Emilia-Romagna è una regione importante. Ma, credo che azzardare ragionamenti sulle conseguenze del voto prima di sapere esiti sia quanto mai prematuro.

Al di là della politica interna, in Medioriente la situazione continua ad essere complicata, anche alla luce dell’ammissione dell’Iran di aver abbattuto il jet ucraino (per errore) lo scorso 8 gennaio. Dall’assassinio del generale Soleimani alla crisi in Libia, quali pensa possano essere i fattori che appariranno in questo scenario?

Penso che in queste ore sia molto importante consolidare la tregua in Libia è evitare che le parti in causa siano tentate di violarla. E bisogna compiere atti che aprano la strada a una soluzione politica: embargo sulla fornitura di armi e convocazione della Conferenza di pace di Berlino con la partecipazione di tutti gli attori libici e internazionali. In questo percorso politico si deve anche verificare la praticabilità di una missione internazionale di pace e il nostro Paese si deve rendere disponibile a parteciparvi, come fece in Libano nel 2006. Il ruolo dell’Italia è quello di essere un protagonista attivo, anche perché siamo i più interessati dalla crisi libica. Peraltro, lo scontro tra Iran e Stati Uniti ha messo in evidenza anche un altro anello debole: l’Iraq, oggi terreno principale dello scontro tra sunniti e sciiti, paese con una forte e autonoma presenza e malgrado le ripetute sconfitte permane la presenza di pericolose cellule dell’Isis. Dopo l’escalation determinata dal raid americano e dall’uccisione del generale Soleimani, occorre bloccare la spirale di azioni e reazioni e riprendere in mano l’accordo sul nucleare, dal quale gli Usa si sono defilati, e garantirsi che Teheran lo applichi così come concepito.

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