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Idlib. Erdogan isolato in mezzo a Ue, Nato e Putin

La crisi di Idlib tocca l’Europa. Il confronto tra i piani della Turchia sul nord-siriano, e quelli di Mosca e Damasco, entra sull’unico territorio di interesse di politica estera per Bruxelles: l’immigrazione. Il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, ha minacciato di riaprire i confini con la Grecia, e dunque rovesciare in Ue parte dei profughi prodotti dalla campagna governativa di conquista dell’ultimo territorio restato in mano alle opposizioni.

Le persone fuggono dalle bombe e da un futuro torvo sotto un nuovo controllo assadista, ma vengono usate come arma. Lo fa la Turchia, che ha organizzato per ora spedizioni simili a gite guidate: vengono forniti biglietti per il bus verso la Grecia, le troupe delle televisioni di Erdogan seguono gli eventi. Un centinaio di profughi sono stati filmati al valico di Kastenies Evros. Allo stesso tempo Mosca pensa a spingere i flussi migratori — per questo Vladimir Putin ha fatto saltare gli accordi preliminari stretti con Erdogan, secondo i quali la parte nord della provincia doveva essere risparmiata, perché lì il turco progettava di allocare i profughi che già ospitati nel paese, e non di riceverne di nuovi.

La strategia di Putin è chiara: quando cinque anni fa un’ondata di migrazione dalla Siria arrivò in Europa presero molto spazio i partiti nazionalisti europei, che “cavalcarono l’emergenza” – come fa notare Daniele Raineri sul Foglio – incassando importanti dividendi elettorali. Un tesoretto per la loro sopravvivenza attuale. E Putin sa che sono quegli stessi partiti, molto di destra e molto anti-europeisti, che accettano il corteggiamento russo – asset che rientra nel piano del Cremlino per disarticolare l’Ue.

Nel 2016, Erdogan e la cancelliere tedesca, Angela Merkel, negoziarono un accordo molto semplice: l’Ue avrebbe pagato la Turchia per tenere sul proprio territorio i migranti siriani. Era una situazione gestita in emergenza, perché la rotta balcanica portava migranti in Europa e la Grecia rischiava di non reggere più il peso del flusso diretto. E nel frattempo, su questo crescevano le posizioni anti-europeiste. L’intesa è di fatto scaduta lo scorso anno, ma è restata operativa mente Ankara e Bruxelles negoziavano nuovi termini ed estensioni. La crisi di Idlib ha prodotto un nuovo scenario di emergenza, e per Erdogan un elemento ulteriore di trattativa.

La situazione s’è particolarmente inasprita nelle ultime settimane, quando il regime ha iniziato a spingere e ha colpito in più di un’occasione i militari regolari che la Turchia aveva mandato a sostenere i gruppi ribelli di Idlib (che sono in alcuni casi rappresentati da fazioni jihadiste). In particolare, due giorni fa la crisi è precipitata, perché un bombardamento (probabilmente russo, ufficialmente siriano) ha ucciso 36 soldati turchi ferendone altrettanti. Ankara ha risposto martellando negli ultimi due giorni le postazioni assadiste e colpendo anche alcune unità degli Hezbollah (gruppo jihadista sciita libanese che l’Iran usa come proxy per puntellare il rais siriano).

Oggi Erdogan ha detto che Bashar el Assad “pagherà a caro prezzo” l’uccisione dei soldati turchi – altri due sono morti anche ieri, in un altro bombardamento – e ha chiesto a Putin di abbandonare la zona: “Qual è il tuo business lì? Se stabilisci una base, fallo, ma levati di mezzo e lasciaci faccia a faccia con il regime”, ha detto Erdogan in una conferenza stampa in cui raccontava di una telefonata con l’omologo russo. Nel frattempo, il presidente turco ha chiesto la convocazione di una riunione Nato considerando in pericolo la propria sicurezza nazionale. Erdogan si sente lasciato solo (dall’Ue e dalla Nato) ad affrontare la crisi umanitaria e quella geopolitica. La riunione si è tenuta ieri, e ha prodotto un moto di solidarietà da parte di tutti gli alleati, tra cui Francia e Grecia che hanno solitamente posizioni rigide nei confronti della Turchia.

L’ambasciatore Stefano Stefanini critica sulla Stampa la linea europea. La decisione di riaprire i confini presa dalla Turchia è “una messa in mora di un’Europa completamente assente sulla crisi siriana”, una vicenda che porta a galla il “disinteresse e l’incapacità d’influenza sugli eventi”, che però adesso fa i conti con “la dura equazione guerra-rifugiati”. La Turchia si trova in un isolamento auto-inflitto, frutto di scelte distorte che l’hanno messa in crisi di relazioni con Europa e Stati Uniti sbilanciandola verso la Russia, ma la situazione con la Siria potrebbe essere un elemento che cambia la traiettoria turca. Due giorni fa Erdogan ha ricordato che se non si riuscirà a organizzare un summit previsto per il 5 marzo con Merkel e il francese Emmanuel Macron, allora potrebbe esserci solo un bilaterale con Putin – una dichiarazione su quella che è la situazione turca.

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