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Cosa c’è dietro il feeling fra Trump e Putin? Parla Rojansky (Wilson Center)

Chi conosce la Russia lo sa bene. Annullare la parata militare per il Giorno della Vittoria, la mastodontica sfilata di soldati e carri armati che ogni anno, il 9 maggio, ricorda la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e gonfia d’orgoglio il petto dei russi (e del governo), non è cosa da tutti i giorni. Vladimir Putin è stato costretto a rimandarla, annunciando la mesta notizia con un discorso pubblico pieno di pathos. È anche questo il segno inequivocabile di una crisi economica e sanitaria che, forse, va ben oltre i dati ufficiali diffusi dal Cremlino sul coronavirus. Non è allora un caso se in queste settimane da Mosca sia arrivato un braccio teso verso il suo storico, acerrimo avversario: gli Stati Uniti. Dal petrolio agli aiuti, non si tratta di appeasement, ma di sopravvivenza, spiega a Formiche.net Matthew Rojansky, direttore del Kennan Institute del Wilson Center di Washington Dc, tra i massimi esperti americani di Russia ed Est Europa.

Sembra che la pandemia abbia aperto uno spiraglio per la cooperazione fra Russia e Stati Uniti. Quanto può durare?

Dalla campagna del 2016, e anche prima, il presidente Trump non ha fatto mistero della sua speranza di migliorare i rapporti fra Stati Uniti e Russia. Per farlo ha fronteggiato continue sfide, dalla politica interna alle azioni sul piano internazionale della Russia che hanno alienato gli alleati degli americani e innescato le sanzioni automatiche. In queste circostanze, si potrebbe aprire una piccola finestra per Trump e Putin per riprendere il dialogo ai massimi livelli. Qualsiasi progresso però sarà limitato dagli stessi fattori che lo hanno rallentato finora.

Putin ha offerto e inviato aiuti e assistenza medica agli Stati Uniti. Accettarli è stato un errore tattico di Trump?

La posizione degli Stati Uniti è chiara: gli aiuti medici sono stati acquistati, non donati. Ad ogni modo, si è trattato di una quantità molto limitata, un gesto più simbolico che sostanziale. Non vedo alcun problema nell’offrire aiuti anche ad avversari durante un’emergenza umanitaria, e, per lo stesso motivo, non vedo problemi nell’accettarli, anche da controparti con cui i rapporti sono difficili. Se l’offerta arriva a condizioni inaccettabili, può sempre essere rifiutata.

Trump ha fatto da mediatore dell’accordo sulla produzione del petrolio dell’Opec plus. Così facendo non ha offerto a Putin la possibilità di presentarsi come partner critico degli Stati Uniti?

Anche qui, non è una mera questione di immagine. La Russia rientra all’interno di una manciata di player critici nella produzione globale di petrolio e dunque nella fissazione dei prezzi. Fingere che non lo sia è inutile. Trump ha fatto bene a parlarne con Putin, così come è stato fondamentale discuterne con l’altro grande player, l’Arabia Saudita, nonostante i molti punti di frizione fra Stati Uniti e il principe della Corona saudita.

Petrolio a parte, la crisi ha gravemente colpito l’economia russa. Il declino è superiore a quello fotografato dai dati ufficiali?

Finora la situazione in Russia è sotto controllo, ma peggiora a vista d’occhio e a grande velocità, come testimoniano tutti gli indicatori economici. I casi di infettati stanno aumentando vertiginosamente, e così i decessi, i danni economici si stanno accumulando.

Il Cremlino ha gli anticorpi per uscirne intero?

Ha da parte fondi adeguati per gestire una parte di questi shock. Ma non c’è dubbio che l’impatto complessivo della crisi, e il più ampio collasso dell’economia globale, porteranno l’economia russa in una profonda recessione per tutto il prossimo anno, e forse anche più in là.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto che Mosca è pronta a discutere del controllo di missili ipersonici con gli Stati Uniti. Cosa si cela dietro questa apparente tregua?

Mosca non offre una vera tregua. Piuttosto, cerca disperatamente di attirare attenzione sul tema del controllo delle armi nucleari. Non faranno concessioni, vogliono essere coinvolti in negoziati bilaterali diretti con Washington. Finora, la posizione americana è rimasta invariata.

Cioè?

Il controllo delle armi può continuare solo se anche la Cina è coinvolta, ma la Cina non ha alcun interesse a farne parte e, soprattutto, è totalmente occupata dalla risposta alla pandemia e alla crisi economica. Sollevando il più sensibile e potenzialmente pericoloso tema dell’agenda bilaterale Russia-Usa, Mosca sta cercando di rimettersi intorno a un tavolo con Washington.

Intanto Putin ha invocato un cessate-il-fuoco globale alla luce della crisi. Problemi di cassa?

È improbabile che la Russia stessa rispetti un simile cessate-il-fuoco. Sappiamo che, nonostante il recente scambio di diverse dozzine di prigionieri, la guerra nell’Ucraina dell’Est continua, e così i combattimenti in Siria. Dunque, a meno che la Russia non sia disposta a imporre tregue unilaterali, sembra che la proposta sia morta prima ancora di partire.

La Cina ha offerto a Mosca il suo aiuto nella risposta alla crisi. La proposta però è stata accolta con una certa freddezza dai russi. Perché?

L’influenza cinese nell’economia russa e all’interno della storica sfera eurasiatica del potere russo è già realtà. La rapida diffusione del virus nella Russia orientale attraverso il confine cinese ha dimostrato fino a che punto sono connessi i due Paesi. I leader russi temono un’eccessiva dipendenza dalla Cina per le stesse ragioni per cui la temono i leader occidentali, e perciò cercheranno di produrre domesticamente il più possibile di quel che necessitano per gestire la crisi. Sotto questo profilo, sono stati aiutati dalla “sostituzione delle importazioni” che negli ultimi cinque anni si è resa necessaria a causa delle sanzioni occidentali.

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