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Il patriarca maronita indica la via per salvare il Libano, ma Aoun preferisce Hezbollah

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Frattura esplicita tra il presidente libanese, Michel Aoun, maronita, e il patriarca maronita, Beshara Rahi. Dal palazzo presidenziale libanese hanno infatti affermato che la proposta del patriarca, fare del Libano un Paese neutrale nei conflitti arabo-islamici, non è una priorità. Cosa vuol dire? Per capire bene bisogna uscir di metafora, ricostruire un po’ la storia e vedere se la crisi che sta distruggendo il Libano è una crisi economica o politica. Ma per riuscirci bisogna anche spiegare chi sono i protagonisti dello scontro.

Quando viene eletto il nuovo patriarca della Chiesa maronita la sua prima visita all’estero è in Vaticano, per confermare la fedeltà al vescovo di Roma, la seconda a Parigi, dove viene ricevuto con gli onori riservati ai Capi di Stato. Questo antico protocollo dice due cose: la Chiesa maronita si considera bastione del cattolicesimo orientale, ha chiuso la sua poco nota pagina precedente. La seconda cosa che questo protocollo dice è che per Parigi proprio la Chiesa maronita incarna il Libano, che il colonialismo francese voleva “Stato dei cristiani” in primis cattolici e fedeli alla potenza mandataria.

La storia poi ha preso un’altra piega, e i cristiani e musulmani libanesi hanno saputo fare del Libano un Paese “neutrale”. Neutrale nel senso che il Libano è un Paese arabo ma non panarabista, neutrale nello scontro tra Oriente e Occidente, nel quale non crede. La neutralità è l’anima attiva e propositiva del Libano, quello che Giovanni Paolo II ha saputo definire “un messaggio”. Questo messaggio non è ”carineria”, è un lavoro costante contro lo scontro di civiltà che fece del Libano la cassaforte araba quando egiziani e siriani diedero vita alla Repubblica Araba Unita, nella quale il Libano non entrò, non entrando neanche nella sua economia pianificata e statalista, ma preservando la sua economia sociale, imprenditoriale e plurale. I capitali arabi credettero in questa scelta: la Repubblica Araba Unita finì in breve e male per tutti, a cominciare dai proponenti a differenza del Libano, che divenne la Svizzera del Medio Oriente. Svizzera perché neutrale, ma le forze identitariste e contrarie alla grande visione della neutralità la immaginarono come Svizzera perché Paese cantonalizzato: da una parte i cristiani filo occidentali, dall’altra i sunniti e così via.

Questa immersione nei conflitti tra potenze portò alla devastante guerra civile. La destra cristiana era infatti in lotta con la stessa mappa promiscua di Beirut. Il Libano però, forte della sua idea di neutralità attiva tra opposti vasi di ferro arabi e potenze neocoloniali, seppe riprendersi proprio in questo segno: gli accordi di pace dissero esattamente questo, inventando un Parlamento che garantiva tutti dando parità di seggi a musulmani e cristiani, mentre l’impresa coloniale aveva puntato all’egemonia cristiana. È stata la rinascita del Libano.

Da allora una forza, l’unica rimasta in armi all’interno del Libano, Hezbollah, ha guidato il composito controllo che vuole richiamare il Libano dalla sua neutralità attiva, mediana e pacificatrice, facendo del Libano l’avamposto del disegno khomeinista sulle coste del Mediterraneo. La guerra siriana, con l’intervento diretto di Hezbollah al fianco di Assad, ha scardinato la neutralità libanese. Mentre il governo ufficialmente ribadiva la sua neutralità davanti al conflitto siriano, Hezbollah intervenendovi vi trascinava tutto il Paese, essendo il suo braccio politico infatti un importantissimo attore del governo libanese. Molti cristiani hanno preso parte in quel conflitto al fianco di Hezbollah e si è cominciato a parlare di alleanza delle minoranze. Vuol dire che i sunniti, maggioranza dell’Islam arabo, sarebbero naturalmente e ontologicamente incapaci di rispettare gli altri, le minoranze. La minoranza dell’Islam, lo sciismo che è religione di Stato in Iran, alleato con le altre minoranze, i cristiani innanzitutto, creerebbe l’alternativa a questa “eterna dittatura”.

Questa visione trasforma i conflitti in conflitti di religione, rattrappisce l’individuo nella sua comunità di appartenenza e pone di fatto i cristiani contro i sunniti, condannandoli ad essere nemici dei loro fratelli e connazionali. L’altra visione invece fa dei cristiani degli individui che insieme si propongono come honest broker, mediatori neutrali e quindi credibili, in un conflitto che si vuol far apparire come religioso ma che invece è di potere e può consentire a tutti, risolte dispute politiche, di vivere insieme.

Il presidente libanese, l’ex generale in pensione Michel Aoun, ha sposato l’idea dell’alleanza delle minoranze ed è stato imposto da Hezbollah come Presidente della Repubblica. Dopo una paralisi di anni la sua elezione ha suggellato la fine della neutralità libanese, dicendo che i cristiani stavano con Hezbollah e le sue imprese militari. Per consentire all’alleato siriano di sopravvivere economicamente alle devastanti conseguenze del conflitto Hezbollah ha coinvolto il Libano in una serie di “transazioni transfrontaliere” che hanno portato risorse, prodotti e beni in Siria, e facendo del Libano un punto di passaggio di produzioni illegali dalla Siria. Tutto questo, insieme a una scellerata gestione economica del Paese, ha portato il Libano a dichiarare default. Un esempio di questa gestione scellerata è la catastrofe energetica: il Libano ha rinunciato a doni enormi per dotarsi di una centrale elettrica per acquistare la sua energia da navi prese a nolo, la cui bolletta dal 2006 ha determinato un passivo di 50 miliardi di dollari. Il consenso sul questa scelta è stato pressoché totale. Quante centrali elettriche si sarebbero potute costruire?

Ora in Libano è in default, ma il suo default è soprattutto politico. Il piccolo Libano è un enorme Paese se è la casa del libero pensiero, della libera imprenditoria, e dell’incontro tra Oriente e Occidente. Se non è questo diviene un’estensione del porto siriano di Latakia, un porto senza commerci, o la piattaforma dalla quale lanciare campagne militari ed egemoniche per conto terzi.

La disperazione economica in cui è sprofondato il Paese, dove la lira locale è precipitata da un tasso di cambio fisso con il dollaro di 1500 a quello odierno che supera le 10mila lire libanesi, ha convinto il patriarca Beshara Rahi che era ora di porre lui il problema: sposando la posizione che fu dei presidenti maroniti che hanno fatto laico e interreligioso il Libano ha proposto di rifarne un Paese neutrale. Questa neutralità propositiva ne farebbe un nuovo volano regionale e mediterraneo di negoziato e comprensione, un luogo di sopravvivenza per il futuro arabo e di comprensione tra musulmani, liberando sciiti e sunniti dalla milizianizzazione che li offende.

L’appoggio del Vaticano è stato indicato dal patriarca come possibile timbro per un suggello in sede Onu. Ma tutto questo segnerebbe il capovolgimento della presidenza Aoun, che ha fatto del piccolo Libano un aspirante antesignano della nuova alleanza delle minoranze contro il mondo sunnita. Per questo fonti del palazzo presidenziale libanese hanno definito la proposta del patriarca una “non priorità”. Tesi difficile da argomentare. Senza una svolta politica non c’è soluzione economica per il Libano. Ma Hezbollah ha un altro piano: attendere novembre, confidare nella sconfitta di Trump e sperare che il nuovo corso americano li accetti nel nuovo dialogo con l’Iran. Aoun sembra convenire anche questa volta. Ma i tantissimi sindaci che in queste ore stanno firmando petizioni per rifare del Libano un Paese di neutralità attiva dicono che sebbene con colpevole ritardo il patriarca ha ridato vita alla sua Chiesa.

(Foto di Alessandro Balduzzi-riproduzione riservata)

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