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Covid (e non solo), ora è vietato sbagliare. Parla Luciano Violante

Visione, strategia, futuro. Sono le tre parole chiave che occorrono al Paese secondo Luciano Violante, già presidente della Commissione parlamentare antimafia e della Camera dei deputati. Il nodo, osserva con Formiche.net, è scegliere tra una politica di sopravvivenza fondata sulla distribuzione di mance e una visione che preservi il destino della Repubblica.

Secondo Nicola Zingaretti “non è in gioco soltanto un’alleanza di governo ma la tenuta della nazione”. Sta nascendo un nuovo centrosinistra o sta affondando?

La pandemia e il flusso di nuove risorse ci pongono davanti a un bivio: potremmo continuare con una politica di sopravvivenza tramite la distribuzione di mance, oppure adottare una visione lungimirante per difendere la dignità del nostro Paese. In questo senso credo che il ragionamento di Zingaretti sia condivisibile: non vorrei soffermarmi troppo sul centrosinistra, se vecchio o nuovo, mi interessa di più il destino della Repubblica. Da questo punto di vista se le forze politiche non prenderanno la strada della strategia, ma quella della mancia, i rischi saranno gravi.

Come innescare la consapevolezza della strategia?

Occorre un patto fra le generazioni: chi vive solo di presente non pensa al futuro, né a rinsaldare un rapporto tra chi c’è e chi ci sarà…

Una strategia meglio definita occorrerebbe anche in politica estera?

Siamo partiti dopo le elezioni con alcune forze politiche antieuropee e legate a Cina e Russia. Mi pare che questa tendenza si sia fortemente attenuata. Un cambiamento positivo. Ma noi siamo pienamente nel Mediterraneo che, al di là del tema sbarchi, ha rappresentato ieri e rappresenta oggi un grande campo di influenza: lì dovremmo avere una forza e un ruolo di spicco. Non siamo certamente una grande potenza militare o economica, ma siamo comunque in grado di sviluppare una politica adeguata alle ambizioni.

“L’abbraccio. Verso una cultura dell’incontro” è il titolo del primo evento al Meeting di Cl in programma tra qualche giorno: sembra quasi un invito alla politica italiana…

Non faccio parte di Cl, ma sostengo volentieri gli amici che vi operano perché penso che siano gli unici che organizzano eventi seri in grado di parlare ai giovani superando il divario generazionale. Penso che nessun partito oggi riesca a parlare ai giovani di futuro, di occasioni e di prospettive con la continuità e la densità di Cl. Per cui il tema di fondo del meeting da sempre è rivolto a ciò che potrà succedere domani: non mi pare che vogliano porre interrogativi specifici, ma solo indicare una traccia. Inoltre è mia convinzione che il progresso di una nazione sia direttamente proporzionale non solo alla civiltà della propria classe dirigente, ma anche a quella dei cittadini. Una democrazia ha bisogno di cittadini realmente responsabili e democratici, non solo di politici responsabili e democratici; a mio avviso il messaggio del meeting è fortemente rivolto alla società.

Il nome di Mario Draghi, ospite al meeting, è stato più volte speso negli ultimi mesi. Crede a sproposito oppure potrebbe rappresentare il naturale punto di caduta della politica italiana?

Tempo fa un politico straniero di primo piano mi ha detto che gli italiani, nonostante le molte difficoltà che periodicamente attraversano, riescono a designare al Quirinale sempre personalità di altissimo livello, come Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Per cui sono certo che al Colle andrà una grande personalità, anche se non so quale. Naturalmente capita, quando si parla di una grande personalità come Draghi, che nei momenti di difficoltà venga chiamato in gioco. Inviterei però ad evitare questo sport: Draghi si collocherà da solo dove riterrà di doversi collocare.

Che cosa ha rappresentato Francesco Cossiga per il nostro Paese e quale sua lezione l’attuale classe dirigente dovrebbe tenere a mente?

Sulle lezioni si rischia di essere retorici. Mi limito ad osservare che al pari di Rino Formica è stato un uomo di enorme intelligenza politica: mi riferisco alla capacità di connettere elementi apparentemente lontani ma che poi presentavano un significato unitario. Prima di altri, aveva intuito come il crollo del muro di Berlino si sarebbe riverberato sulla politica, in primis sul suo partito. Ripeteva sempre: “I miei non hanno capito”. Spesso esponeva il suo pensiero con toni sbagliati, pregiudicando così l’efficacia delle sue tesi. A volte la provocazione prendeva il sopravvento sulla proposta.

L’impatto sociale, prima che economico, del Covid crede abbia prodotto una buona reazione degli italiani? E cosa è cambiato?

Penso che il popolo italiano abbia mostrato una grande fiducia nei confronti delle istituzioni; è stata una prova ampiamente superata sia dal governo che dalla società. Certamente è cambiato il contratto sociale: fino a ieri lo scambio tra Stato e cittadini che aveva ad oggetto la sicurezza. Oggi invece il cittadino chiede allo Stato di garantirgli la vita. È stato trasformato il patto sanitario: nei confronti del medico non c’è più il rapporto tradizionale, perché nel mezzo è intervenuto un algoritmo, un sondaggio o una statistica. Fattori che hanno mutato il fattore umano. È cambiato anche il patto educativo, come dimostra il ricorso all’insegnamento da remoto.

E la comunicazione?

Fondamentale per capire quello che succedeva e come comportarsi. A volte non si è liberata della tentazione scandalistica.

Nel suo discorso al meeting Draghi ha osservato che il conto delle nostre orrende politiche lo pagheranno i giovani. Come giudica nel complesso il suo intervento e quali impulsi crede abbia offerto al sistema?

È un discorso meritevole di riflessioni non improvvisate. Mi ha colpito la distinzione tra debito buono fatto per investimenti che guardano al futuro e debito cattivo fatto per pure ragioni di sostentamento. Spero che i nostri dirigenti politici rileggano le parole di Draghi.

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