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Comunicazione politica e ruolo del Pd. Il post elezioni visto da Mayer

Nell’intervista di Formiche.net a Lorenzo De Sio sulle regionali mancano due elementi di novità che hanno caratterizzato queste elezioni regionali. La prima attiene alla comunicazione politica. A mio avviso (e con buona pace di Luca Morisi e Rocco Casalino) è morta la “politica del Twitt”. I social sono sempre più importanti, ma oggi sono cambiate radicalmente le reazioni del pubblico.

Forse, anzi sicuramente – a causa del Covid, i cittadini sono abituati alle comunicazioni da remoto perciò diventati molto più smaliziati. Non basta più riempire il web con le foto e il nome di Susanna Ceccardi. Dai primi dati provvisori in mio possesso su Twitter e alcuni siti toscani di informazione (ma non ho i dati di Facebook) Ceccardi sarebbe stata stata citata 65% in più.

Rispetto 35% di Eugenio Giani. Ma da quanto mi risulta con elaborazioni automatiche (AI) per una buona parte – quasi la metà – il sentimento verso Ceccardi è negativo: effetto boomerang? In sostanza sembra essere diventata il bersaglio del fonte opposto. È davvero presto per trarre conclusioni, ma è certo che una volta diventata di uso comune e quotidiano la comunicazione pubblica e politica social deve diventare molto meno rozza, più fine e mirata. Oggi rincorrendo solo i like si va poco lontano.

Il secondo punto che a mio avviso è utile sottolineare per integrare le considerazioni del collega Lorenzo De Sio riguarda il Pd. Il paradosso politico è che l’idea originale di Veltroni sul Pd partito a vocazione maggioritaria risulta vincente. Non dimentichiamoci che nel 2008 il Pd a guida Veltroni superò i 12 milioni di voti alla Camera raggiungendo (se non erro) il massimo dalla sua fondazione ad oggi.

Da quanto emerge negli ultimi dodici anni gli elettori di centro sinistra non gradiscono le scissioni: i Rutelli, i D’Alema, i Bersani, gli Speranza, i Renzi, i Calenda hanno sbagliato: avranno il coraggio di ammetterlo? Intendiamoci per diventare davvero un partito a vocazione maggioritaria il Pd dovrebbe riorganizzarsi: serve un partito moto più decentrato nel territorio e nella dimensione regionale, è indispensabile realizzare un buon mix tra attività fisica e digitale. L’obiettivo è diventare un partito arcipelago in cui le diverse identità siano tutte ben accolte. Le diverse correnti ideali e pratiche e la fisiologica la competizione interna che dovrebbero esprimersi in forme pubbliche creative e trasparenti.

Guai a dimenticare che il Pci ha radiato Rossana Rossanda e i suoi amici, una scelta demenziale che ha pagato per anni in termini di credibilità internazionale. Nel mondo cattolico che domina la scena nel Pd c’è ancora troppo integralismo già presente nella sinistra Dc chiusa ai cattolici liberali. Oggi per fare un solo esempio il Pd ha una componente verde assolutamente sbiadita mentre in quasi tutta Europa i verdi vanno bene.

Zingaretti non ha carisma personale, ma forse in veste di allenatore può tentare il carisma di squadra con Guerini, Gualtieri, Amendola Bonaccini, Giani, Nardella
in prima fila. Alla formazione mancano 5 ancora giocatori. Ecco una rosa di leader che conosco personalmente che indico per animare la discussione: Rosa Calipari, Brenda Brandini, Rosa Maria Di Giorgi, Marina Sereni, Simona Bonafè, Lia Quartapelle, Anna Ascani, Debora Serracchiani, Riberta Pinotti, Valeria Fedeli, Cristina Giachi, Elisabetta Gualmini. Una squadra politica davvero mista potrebbe essere una novità politica nel contesto italiano in cui sorprendentemente solo i conservatori di FI si lasciano guidare da una donna, Giorgia Meloni.

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