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Il dramma dei rifugiati, le esitazioni europee, la visione del Papa. Parla Camillo Ripamonti

Le giornate mondiali dedicate a varie tematiche appaiono stanchi rituali o impressionanti momenti di verifica sullo stato del mondo. Questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato arriva in un momento difficilissimo in tanti teatri mondiali, un mondo che sembra spezzato dall’emergenza, lungo delle linee emergenziali che si arroventano ulteriormente. Tutto questo colpisce ancor di più se si pensa che siamo a pochi giorni da un evento sottovalutato ma epocale, la divulgazione dell’enciclica di Papa Francesco sulla fratellanza.

Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la sezione italiana del Jesuit Refugee Service, vede in questo collegamento un filo conduttore del pontificato di Francesco. “Il pontificato di Francesco è cominciato con il viaggio a Lampedusa, primo del suo pontificato, e in quel viaggio di poche ore tutto il suo discorso ruotò intorno alla riproposizione dell’interrogativo biblico ‘dov’è tuo fratello’? Quella domanda che Dio pone a Caino ci obbliga a capire chi sia nostro fratello. Quali riteniamo i confini della fratellanza. La fratellanza di tutti gli esseri umani, nelle loro diversità di sesso, cultura, lingua, razza, religione, è dunque il tema a centro dell’imminente enciclica come di quel viaggio. Dobbiamo stare attenti a ciò che accade al nostro mondo. Le catastrofi ambientali, le guerre, l’impossibilità per singoli o gruppi a sopravvivere nei loro luoghi di nascita ci dicono che il rischio è che se non agiamo potremmo non avere più tempo. O recuperiamo la consapevolezza dell’unità della famiglia umana e del creato, quindi dell’impossibilità di dividere il mondo e i suoi abitanti tra aree difese e aree abbandonate, o rischiamo di arrivare tardi.”

Proprio per consentire di capire che il problema è più ampio di quel problema già enorme che noi vediamo, il papa ha dedicato il suo messaggio di quest’anno ai rifugiati interni? Chi sono? Cosa differenzia la loro condizione rispetto a quella di profughi e migranti? Esagero dicendo questo?

“No, non credo, ci sono documenti pontifici che li definiscono i più dimenticati. Come definirli? Sono quelli che non ce l’hanno fatto neanche a fuggire dal Paese dove ritengono di non poter più vivere. Sono ad esempio milioni di siriani rimasti nei confini nazionali, ma senza casa, senza lavoro, magari a centinaia di chilometri di distanza, vicino a un confine chiuso. O tantissimi colombiani, non osservati dopo la pace con le Farc, ma che restano tali e la cui condizione si aggrava per la contestuale esplosione della questione venezuelana, che ha portato tanti a fuggire proprio verso la Colombia.”

Dunque sono i profughi che non riescono neanche a diventare profughi, i profughi rimasti incastrati nelle sbarre del Paese dove non possono più vivere e a quali è negata anche la speranza di un’accoglienza visto che da quel Paese vogliono fuggire. In tutto questo diviene molto importante la valutazione delle nove scelte europee, salde nei principi, meno nella loro attuazione. Le vere novità appaiono il ritorno, forse positivo, dell’istituto della sponsorizzazione, cioè il diritto di gruppi o singoli di ospitare con chiamata nominativa uno o più migranti. Poi c’è quello, sul quale si investe anche e questa volta in modo forse preoccupante, relativo allo sveltimento delle operazioni di identificazione alla frontiera. L’Europa è cambiata davvero?

“Beh la riconferma dei valori europei pesa, ha rilevanza e ad esempio conferma chiaramente che il soccorso in mare è un obbligo, un dovere morale. Poi però si ha l’impressione che la solidarietà conclamata sia più una solidarietà tra stati che una solidarietà con i migranti. Non ci sono passi avanti importanti sulla via dei corridoi umanitari o dell’obbligo di redistribuzione, e qui si ha la sensazione che i negoziati abbiano prodotti esiti parziali. Poi c’è il capitolo Frontex, lo sveltimento dell’identificazione alle frontiere e la possibilità di rimpatri veloci, anche sponsorizzati. Qui si dimostra l’incapacità a cogliere la difficoltà di ricostruire una storia, con problemi psicologici e linguistici: come riconoscere il senso di una vita attraverso rapidi percorsi necessariamente approssimativi, problematici, che non possono tener conto di tutta una storia magari difficile da dire oltre che capire? Su questo il risultato è molto insoddisfacente, è evidente. La stessa opportunità offerta a gruppi ed a singoli di sponsorizzare un migrante che voglia venire in Europa sembra corrispondere all’idea di selezionare i migliori, i più attivi o con maggiori qualità o potenzialità lavorative. E invece occorre una politica che affronti il problema nella sua realtà evidente”.

Impossibile non concludere con un riferimento alla Libia e all’Italia. Paese che si è fatto trovare “impreparato dalla stessa emergenza Covid, obbligandoci così alla quarantena a bordo di navi”. Un fatto molto rilevante, visto che tutti sapevano del Covid come tutti sapevano quanto indicato tempo fa dall’Onu e ora da un recente rapporto di Amnesty International che documenta come in 13 centri centri di detenzione si pratichi la tortura di migranti. Per padre Ripamonti la risposta è una sola: “Impossibile continuare a ritenere la Libia un porto sicuro e quindi continuare a tenere in piedi accordi con una guardia costiera” che necessariamente riporta le persone lì dove viene praticata la tortura.

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