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Il buio della crisi italiana e i fari da accendere. Il corsivo di Tivelli

In nome dell’emergenza sanitaria, governi, parlamenti e Consigli Regionali dispensano normative senza guardare al quadro complessivo, come se la legiferazione fosse una sorta di emorragia. La bilancia del potere pende quasi totalmente dal lato del governo

Come ho avuto occasione di scrivere in un mio libro, da una ventina d’anni, e ancor più dal 2008, l’Italia vive una sorta di “brutte epoque” economico sociale (con la crescita quasi a zero), che ovviamente si è aggravata con il Covid-19. Ma ciò che è ancor più significativo è che specie con il governo Conte 2 si è aperta anche una sorta di “brutte epoque” istituzionale, perché stanno cadendo sul tappeto istituzionale cocci e vetri tra i quali è sempre più pericoloso passeggiare, e che sono tali da intaccare la certezza del diritto e dei diritti per gli operatori e per i cittadini.

Pensiamo da ultimo alla legge di bilancio approvata in extremis il 31 dicembre scorso: “Un coacervo di misure senza disegno”, l’ha definita l’Ufficio Parlamentare di bilancio. Infatti è peggio delle finanziarie omnibus degli anni ’80 e ’90 e dentro c’è la miscela più svariata, dai bonus rubinetti a norme fotografia come il finanziamento di un master in medicina termale. Così com’era stato per il decreto mille proroghe, licenziato il 23 dicembre dal Consiglio dei Ministri, che mette insieme dalle celebrazioni ovidiane, ai cinema bond dell’Istituto Luce, con norme sconnesse l’una dall’altra e scritte in un linguaggio arcano. D’altronde l’avevamo già visto con i vari decreti ristoro, scritti spesso in maniera incomprensibile, pieni di rinvii criptici ad altre norme e a decreti di attuazioni, molti dei quali sono ancora in lista d’attesa.

La verità è che il Covid-19 ha accentuato questa tendenza, perché in nome dell’emergenza sanitaria, i governi, i parlamenti, i Consigli Regionali, dispensano a gocce o a rubinetto normative senza guardare al quadro complessivo, come se la legiferazione fosse una sorta di emorragia.

Ma tornando al caso della legge di bilancio, emerge qui il problema dei rapporti tra le istituzioni. Dopo il voto finale della Camera i senatori sono rimasti 4 giorni, giusto il tempo per mettere un timbro, senza poter far svolgere alcun esame della legge, così come al Presidente della Repubblica, che normalmente avrebbe un mese di tempo per la prolungazione delle leggi, la legge è caduta sulla scrivania l’ultimo giorno utile, il 31 dicembre per promulgazione. È diventata la nostra, la Repubblica delle scadenze imposte.

È noto a tutti che oramai si legifera solo per decreto legge e che la bilancia del potere pende quasi totalmente dal lato del governo: ebbene la camera che avvia l’esame del decreto legge normalmente si prende quasi tutti i 60 giorni per l’esame e all’altra non rimane che mettere un timbro, senza considerare poi che su buona parte dei decreti legge viene posta la questione di fiducia. Inoltre, come ha scritto poi un fine costituzionalista come Michele Ainis, si è diffusa la consuetudine di approvare in Consiglio dei Ministri i decreti legge, che dovrebbero essere adottati solo in casi di necessità e urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, salvo intese. Si tratta di una palese contraddizione perché se si approva una norma in quanto urgente e poi se ne rinvia l’entrata in vigore a un successivo momento di approvazione, se ne smentisce proprio quell’urgenza che dovrebbe costituirne il presupposto. Purtroppo anche da parte del mondo dei costituzionalisti e politologi mi sembrano scarsi gli anticorpi e l’attenzione a questa serie di degenerazioni che intaccano aspetti significativi della nostra forma di governo parlamentare. Sarebbe il caso di mettere in funzione un po’ meglio i radar, le antenne e le penne.

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