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La rivincita di Renzi. Così Conte è finito all’angolo

Il Pd e perfino una parte del M5S riaprono a Matteo Renzi, mentre l’Udc, Nencini e Casini annunciano il no a Bonafede. L’ex premier si prende una rivincita e intanto Conte scricchiola. C’è solo un modo per uscirne…

Chi la dura la (ri)vince. Sembrava che la crisi di governo si fosse rivoltata contro l’uomo che ha acceso la miccia, Matteo Renzi. E invece, a due settimane dallo strappo, il senatore ed ex premier di Rignano sull’Arno sembra pronto ad andare all’incasso, “sereno” come non mai. Lo è un po’ meno Giuseppe Conte, che vede sempre più scricchiolare la sua sedia a Palazzo Chigi.

Con un governo di maggioranza relativa e una stanca caccia ai “responsabili” in Senato che continua a dare delusioni tutti gli scenari restano aperti, soprattutto quello che prevede una sua sostituzione a capo dell’esecutivo.

A giudicare dalle stilettate rifilate a Conte nelle ultime ore da chi era dato come alleato sicuro nel pallottoliere della crisi, la strada per il Conte ter ha l’aspetto di una salita ripidissima.

Per un termometro della crisi basta dare uno sguardo a cosa si muove dalle parti del Centro. Dopo il no secco e compatto alle sirene di Palazzo Chigi dell’Udc, che a Palazzo Madama ha votato contro la fiducia, e l’ultimatum del senatore Bruno Tabacci, “Conte si dimetta o si vada alle urne”, altre due uscite devono aver fatto sobbalzare il premier sulla sedia.

Sulla Nazione Pier Ferdinando Casini lancia il primo siluro: lui, che ha votato la fiducia una settimana fa, non voterà a favore della relazione sulla Giustizia che il Guardasigilli Alfonso Bonafede presenterà al Senato mercoledì o al più tardi giovedì. “Lo ascolterò con attenzione, ma escludo di poter votare a favore – avvisa il diccì – no, per quanto mi sforzi di essere generoso non potrò certo votare a favore”.

Con una maggioranza appesa a un filo il no di una figura autorevole come Casini pesa come un macigno. Già martedì scorso, annunciando il sì alla fiducia, si era detto “molto preoccupato dell’entusiasmo per il pallottoliere mentre si dimenticano le ragioni della politica”.

Il secondo viene assestato dall’uomo al centro della frenetica tratta per i responsabili: il senatore socialista Riccardo Nencini. Ospite a Sky TG24, eccolo calare il sipario. “A maggio votai contro la fiducia a Bonafede ed è difficile che possa passare a un voto esattamente opposto”.

Dalle colonne del Corriere arriva un’apertura perfino da uno dei più ascoltati pentastellati. Emilio Carelli, deputato e giornalista del Movimento, non ci gira intorno: se i responsabili non ci sono, “è arrivata l’ora di valutare se sia corretto tenere la porta chiusa a Italia Viva”.

Fra i renziani c’è chi capta i segnali e inizia a prenderci gusto. “Ascolteremo Bonafede e poi decideremo come votare sulla relazione sulla giustizia, ma se le idee saranno quelle abituali del ministro non potremo essere d’accordo”, avvisa Teresa Bellanova.

Come non bastasse, dal Nazareno continuano a porgere ramoscelli d’Ulivo a Renzi e alla pattuglia di Italia Viva. Altro che rottura. Così Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, riapre la porta: “Noi ci siamo sempre stati, Renzi lo sa. Possiamo confrontarci in qualsiasi momento, ma senza ricatti”. A pensarla come lui sono in tanti dentro al partito, specie dalle parti dell’ala riformista che con l’ex premier ha condiviso un bel pezzo di viaggio.

Solo una voce si alza a tuonare contro Renzi. È quella del vicesegretario Andrea Orlando, “Se il disegno di Italia Viva è l’omicidio politico del Partito Democratico non si può fare un pezzo di strada insieme”. Ma quello che a prima vista sembra un pronto-soccorso a Conte, in realtà apre a una strada diversa: per uscire dal pantano della crisi nessuno è insostituibile, tantomeno il premier.

Il Conte-bis, insomma, si trova a un bivio. Da una parte un governo istituzionale, senza Conte. Dall’altra il voto. È l’arma più appuntita del premier per mettere alle corde Renzi e i suoi, ma in Parlamento, per ovvie ragioni, nessuno lo vuole.

Una via d’uscita c’è, e passa proprio per l’ex premier di Rignano sull’Arno. Se il governo vuole salvarsi, Conte deve rialzare la cornetta e chiamarlo. È il paradosso di questa strana crisi di inizio anno. Un pareggio e un occhiolino reciproco, a questo punto, è la soluzione che conviene a tutti.

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