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Partito cattolico? Meglio leggere la crisi cercando in Civiltà Cattolica

Pope Francis

Portare nella storia i valori evangelici, non del vangelo della prosperità, ma di quelli canonici, vuol dire disseminarli e innaffiarli con una lettura della realtà che riguarda tutti. Se arrivasse questo spirito, nel laicato cattolico, questa crisi diverrebbe un’opportunità per capire che è possibile portare i valori evangelici nella storia al tempo della pandemia insieme ai laici

Crisi alle spalle o crisi perdurante? Ma quali categorie di pensiero occorrono per orientarsi nell’imminente futuro? Forse è una riflessione non politica, ma ecclesiale, a poterci dare le categorie necessarie. Pur ritenendo un’ossessione priva di fondamento l’idea di un ritorno del partito cattolico, credo che rileggere Francesco aiuterebbe molto a capire come guardare al domani per evitare di sognare che oggi sia ancora ieri.

Concludendo il suo discorso di auguri alla Curia Romana, poche settimane fa, papa Francesco ha detto: “Per favore, pregate sempre per me perché io abbia il coraggio di rimanere in crisi”. Queste parole le ha ricordate in questi giorni il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, scrivendo un’articolo su “crisi” e riforma della Chiesa. Apparentemente i due temi non si tengono, non hanno collegamento, eppure il vocabolo “crisi” li unisce. Il passaggio che Spadaro definisce centrale nel discorso del papa è questo: “Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi. Perciò, se un certo realismo ci mostra la nostra storia recente solo come la somma di tentativi non sempre riusciti, di scandali, di cadute, di peccati, di contraddizioni, di cortocircuiti nella testimonianza, non dobbiamo spaventarci, e neppure dobbiamo negare l’evidenza di tutto quello che in noi e nelle nostre comunità è intaccato dalla morte e ha bisogno di conversione. Tutto ciò che di male, di contraddittorio, di debole e di fragile si manifesta apertamente ci ricorda con ancora maggior forza la necessità di morire a un modo di essere, di ragionare e di agire che non rispecchia il Vangelo. Solo morendo a una certa mentalità riusciremo anche a fare spazio alla novità che lo Spirito suscita costantemente nel cuore della Chiesa”. Ecco, la mentalità.

Questo tempo è tempo di crisi perché la parola non afferisce solo agli eletti, ai deputati e ai senatori, afferisce a tutti noi. E’ la pandemia la crisi nella quale morire a una certa mentalità. Se chi ha aperto la crisi avesse capito avrebbe fatto bene. Purtroppo però si continua a parlarne come se oggi fosse ieri, e anche chi parla di partito cattolico dà l’impressione di aggrapparsi a una chimera per “salvarsi dalla crisi” anziché coglierne il valore: non può essere vissuta bene leggendo con parametri vecchi. Questa crisi va vissuta fino in fondo per uscirne nuovi, non vecchi. E il partito cattolico è un’illusione ottica per leggere con l’alfabeto che conosciamo, quello del Novecento. Vivere la crisi con lo sguardo proiettato in avanti e non indietro ci direbbe che se si è esaurita la teologia della cristianità e anche quella della nuova cristianità, di cui parlò negli anni Trenta Jacques Maritain: oggi la prospettiva in cui collocarsi è quella indicata già allora da Emmanuel Mounier, che invocava per la sua società personalista la presa d’atto della fine della “cristianità borghese” creando un nuovo rapporto con la materia, quindi un cristianesimo senza cristianità. Cosa vuol dire? Vuol dire far incontrare valori evangelici e storia. In questo senso colpisce il silenzio episcopale sulle parole dell’assessore alla sanità lombarda, Letizia Moratti, sulla distribuzione del vaccino anche in base al Pil regionale. Parole che ci parlano di quel che già facciamo, noi. Infatti è quel che accade a livello globale, con tutto il continente africano che sin qui ha avuto lo stesso numero di dosi ottenute dall’Italia. Ricchi e poveri. A questa terribile evidenza ha già risposto con forza e più volte il vescovo di Roma, voce universale della Chiesa, ma non si è vista la “ricaduta” italiana del ragionamento, quasi a dire di una sottovalutazione del nesso tra realtà globale e realtà locale.

Far incontrare valori evangelici e storia è l’esatto contrario del chiudersi in un recinto identitario, che è l’offerta politica che il sovranismo fa al cattolicesimo. Ma questa offerta oggi si ritrova molto meglio nel nuovo vangelo americano, quello della prosperità, che porta ambienti neo-evangelicali vicini al presidente Bolsonaro (che guarda caso a maggio potrebbe venire in Italia) a osteggiare la mascherina per prevenire il virus perché é Dio che ci salverà. Né consegue un Dio che ci vuole ricchi e sani, se non lo siamo è perché qualcosa da parte nostra non va. Chi è ricco invece è gradito, amato da dio. La compassione cristiana diventa ammirazione per chi ha avuto successo.

Portare nella storia i valori evangelici, non del vangelo della prosperità, ma di quelli canonici, vuol dire disseminarli e innaffiarli con una lettura della realtà che riguarda tutti: Chiesa in uscita. Se arrivasse questo spirito, questa visione, nel laicato cattolico, questa crisi diverrebbe un’opportunità per capire che è possibile portare i valori evangelici nella storia al tempo della pandemia insieme ai laici. La pandemia obbliga finalmente i laici secolarizzati a confrontarsi con la realtà non sulla base di un liberismo astratto, ma scorgendo il nesso ormai evidente tra liberismo economico e liberismo sociale. È l’ora per loro di superare l’unità dottrinale dei due liberismi, sociale ed economico, perché lo impone la pandemia. Per i laici cattolici, non esistendo più l’unità dottrinale visto che nel cattolicesimo ha fatto irruzione l’ideologia del vangelo della prosperità, un partito cattolico è inconcepibile, mentre la crisi ha reso tangibile, evidente, l’urgenza del personalismo. Non sarà l’ideologia di “genitore 1” e “genitore 2” a mettere in difficoltà questa prospettiva, purché la si accetti, la si veda.

È questa la benedizione della crisi. Un partito di portavoce di alcuni “pastori” sarebbe uno specchio distorto del passato, buono per riempire cronache con ombre che se tornassero ci farebbero sentire nel noto, mentre siamo nell’ignoto e occorre orientarlo in base ai semi che offre la crisi. In questo prospettiva anche noi potremmo invocare il coraggio di “rimanere nella crisi”. E scrivere la storia di domani senza pensare di riscrivere quella passata. Ha infatti perfettamente ragione padre Spadaro a far ruotare il suo articolo (che non riguarda la crisi politica) attorno a questa spiegazione di realismo data da Francesco nel citato discorso: “Una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire”.

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