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Rimpasto, Renzi e 007. Tutte le stilettate di Conte alla Camera

In un’ora di discorso non cita mai il nome di Matteo Renzi. Giuseppe Conte fa il one-man-show alla Camera e apre al rimpasto, ma avvisa il Pd: non c’è un altro governo. La maggioranza balla al Senato e il premier parla ai “costruttori” indecisi: “le istituzioni ripagheranno la vostra fiducia”

Non fa il suo nome neanche una volta, in un’ora di discorso. Giuseppe Conte affronta la crisi alla Camera ma lascia fuori Matteo Renzi. Il primo giorno della resa dei conti si apre con una lunga agiografia del governo rossogiallo. Il premier gioca in casa, dove la maggioranza c’è e non è ballerina.

Niente bis dello show al Senato con Matteo Salvini, un anno e mezzo fa. Conte veste i panni dello statista e parla al Paese. Cita solo Italia Viva e il suo “gesto di grave irresponsabilità”, la crisi “di cui non solo i cittadini ma io stesso non ravviso alcun plausibile fondamento”. Incassa uno scroscio di applausi, mentre ricorda una ad una le misure del Conte-bis, la pandemia, la “gravità dell’ora”. Ribadisce ogni volta che sono state scelte politiche, quasi a scacciare una volta per tutte l’etichetta dell’“avvocato” prestato alla stanza dei bottoni. “È stata politica la scelta di tutelare in via prioritaria la salute”, “politico l’accordo sul Next Generation Eu che ci permette di disporre di 209 miliardi di euro”.

Agli “attacchi mediatici e alle critiche scomposte”, ai “contrappunti sterili, polemici, del tutto incomprensibili” dei renziani sul Mes “che non ha nulla a che vedere con il Recovery Fund”, Conte risponde rivendicando l’operato del governo. Anche sul piano vaccini, “siamo i primi in Europa”, mette una bandierina.

La seconda metà dell’intervento a Montecitorio si fa politica, parla non più in telecamera ma alle forze di maggioranza. Il messaggio di sottofondo è cristallino e arriva dritto al Nazareno: non esiste un governo senza Giuseppe Conte. “Chiederò di completare il confronto avviato su un patto di fine legislatura, in un clima di piena lealtà e fiducia”. Niente Conte-ter, dunque, ma un rimpasto alla vecchia maniera, “bisogna rafforzare la squadra di governo”.

Una concessione arriva dal fronte intelligence. Dopo mesi di pressing della sua stessa maggioranza, il premier apre al compromesso. “Mi avvarrò della facoltà che la legge mi accorda di designare un’autorità delegata per l’intelligence scegliendo una persona di mia fiducia”. Tradotto: chi pensava di mettere un politico a capo degli 007 può anche scordarselo. “Se avete proposte di modifica della legge 124, potete farlo seguendo i canali istituzionali”, dice ai parlamentari.

Agli applausi si alternano momenti di bufera. Alcune uscite del premier scatenano i fischi delle opposizioni e i risolini di qualche parlamentare di maggioranza. Quando deplora la crisi facendo riferimento allo spread, ai media internazionali e “alle cancellerie estere”. Quando dice che l’Italia “è l’unico Paese che ha coinvolto così il Parlamento”. E così mentre tira le fila della politica estera del Conte-bis, del suo “ancoraggio all’Alleanza atlantica”, da cui non può prescindere il rapporto con la Cina, “partner globale di innegabile rilievo economico”.

Conte parla alla Camera ma ha già uno sguardo al Senato. Lì la coalizione è appesa a un filo. Dopo una settimana di telefonate notturne e occhiolini per cercare di mettere insieme la pattuglia di responsabili il pallottoliere continua a fare paura. Si va verso un governo di maggioranza relativa, quella assoluta resta nelle mani dei senatori renziani che, di volta in volta, potranno deciderne le sorti.

Così il premier prova un tentativo last minute. Ai “costruttori” dice: “Abbiate fiducia nelle istituzioni, e le istituzioni ripagheranno la vostra fiducia”. Ma guarda anche agli indecisi di Forza Italia, tentando di vincere le (inaspettate) resistenze degli azzurri, finora rimasti compatti. “Chiediamo il contributo politico di formazioni che si collocano nel solco delle tradizioni europeiste, liberale, popolare”.

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