Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Andreotti e l’intelligence, tra scimmiette, dossier e conflitto mediorientale

Formiche.net pubblica un’anteprima del libro “Giulio Andreotti e l’intelligence”, a cura di Mario Caligiuri (Rubbettino). È un estratto dal capitolo di Paolo Gheda, “Andreotti e gli Esteri durante la guerra fredda, tra rapporti informativi e strategie diplomatiche”

Il necessario “contenimento” dei Servizi

Andreotti affrontava abitualmente i dossier legati all’intelligence con molta cautela, e il suo approccio al lavoro dei Servizi sembrava orientato da una parte a far sì che da attività eventualmente poste fuori controllo non ne derivasse qualche istanza di delegittimazione dello Stato, dall’altra a garantire che gli stessi Servizi potessero operare in un quadro di riservatezza, evitando per quanto possibile soprattutto i clamori di una parte della stampa italiana e internazionale. A margine della seduta del 21 novembre 1980 della Camera dedicata al generale Giudice, Andreotti venne ascoltato da Di Giulio in qualità di ex ministro della Difesa.

Nei suoi diari annotava al riguardo: «Le scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano talvolta hanno vita più tranquilla. Ma non ho questa vocazione, anche se devo dire che per aver fatto il mio dovere rimuovendo le remore al processo della strage di piazza Fontana mi trovo tuttora scioccamente accusato di avere niente di meno che smantellato i Servizi segreti».

Il politico democristiano palesemente non sopportava che passasse l’idea, a qualsiasi livello, di un suo ruolo inibitore nei confronti dei Servizi. Semplicemente riteneva non negoziabile la loro qualità professionale e morale, proprio perché intesi come strumenti delicati e importanti al servizio dello Stato. In questo senso, ne comprendeva la delicatezza dell’impegno e pure talvolta gli imbarazzi che potevano incontrare. Riferendosi ancora al colloquio sopracitato con Di Giulio, osservava:

Dichiaro nel modo più netto e inequivoco che nell’autunno del 1974 fui informato dal Sid in un mattinale che nel corso di un’indagine su un certo signor Foligni (o Fuligni), indicato come creatore di un nuovo partito politico, risultavano contatti, da approfondire, con ambasciate straniere e con alcuni alti ufficiali. Nulla però in quel momento doveva essere emerso che toccasse minimamente la correttezza delle persone, specie dei militari, perché ritengo che l’ammiraglio Casardi mi avrebbe informato. Perché di un’indagine allora così scarna e incolore me ne parlarono? Credo per l’eventuale timore del Sid di vedersi accusato per indagare su un gruppo politico, sia pure circondato alle sue origini da connessioni non chiare.

Il tema della coerenza politica veniva espresso in questa riflessione per via esplicita:

Tanto più – aggiungeva Andreotti – che qualche mese prima avevo dovuto adottare misure severe proprio per mantenere sincerità e informazione da parte dei Servizi. Quando tornai al Ministero della Difesa nei primi mesi del 1974, nel prendere le consegne dissi a tutti i dirigenti, militari e civili, che le vicende del Sifar avevano inferto un duro colpo e che era necessario un richiamo supplementare alla severità e al rigore. Ed assicurare che chiunque facesse il proprio dovere avrebbe avuto da me ogni copertura: ma nessuno doveva reputarsi autorizzato ad uscire dalle proprie competenze, magari ritenendo di obbedire a qualcuno diverso dal ministro.

Pure nello sguardo sul panorama estero, e in particolare sul grande alleato statunitense, Andreotti condivideva la convinzione che i Servizi non dovessero mai uscire dalla propria sfera di competenza, leggendo con preoccupazione alcuni passaggi politici che gli vennero riferiti dal generale Usa Vernon Walters, diplomatico che era stato Deputy Director della Cia dal 1972 al 1976: «30 luglio [1981] Grande e confusa conclusione alla Camera. A pranzo da me, ora ambassador-at-large. […] Sulla Cia: da 20 anni nessun “plot”. […] Il Congresso ora dà alla Cia più potere di quel che chieda e voglia».

La ferma condanna di supposti interventi sulla politica dei Servizi segreti italiani è confermata in questo retroscena ancora narrato nei diari in cui Andreotti ipotizzava una trama specifica: «14 novembre [1981] Piccoli mi dice che un ladro (Servizi? Ne è sicuro e sa i nomi tramite Santovito: li ha detti a Rognoni) ha aperto con la lancia termica la cassaforte del suo studio a via della Giuliana. Ha la sensazione che Spadolini lo sapesse. È gravissimo. Fanfani ha riversato su di lui la negativa per nominare Ingrao presidente della Commissione per la P2; Piccoli non vuole».

Il 3 aprile dell’anno successivo annotava un ulteriore commento: «Sono al Tg3 per Moro e ascolto la registrazione di Craxi al convegno del Psi a Rimini. Qui il sottosegretario alla Giustizia Scamarcio [Psi] afferma che per la liberazione di Cirillo i Servizi segreti avrebbero trattato con le Br per conto di almeno una parte della Dc. Piccoli pretende le sue dimissioni».

Nel 1983 Giulio Andreotti assunse la guida del Ministero degli Affari esteri, durante i governi guidati da Bettino Craxi, concentrandosi in particolare sul lavoro diplomatico collegato alla distensione internazionale, sempre comunque nel solco della tradizionale strategia atlantica del nostro Paese. Secondo queste direttrici di lavoro, Andreotti si concentrò sui dossier mediorientali, sulla democratizzazione dei Paesi dell’Est e in particolare avvicinandosi alla figura di Michail Gorbaciov in Urss, pur avallando gli euromissili della Nato.

In questo nuovo contesto di impegni di governo di altissimo livello, Andreotti non dimenticò di sottolineare la necessità del controllo delle attività dei Servizi, e lo stretto confinamento delle loro procedure. In particolare, Andreotti si mostrava preoccupato dalla raccolta fuori controllo e non autorizzata di dossier da parte delle forze italiane di intelligence. Annotava nel suo diario il 24 gennaio 1983:

Spadolini (cui nel frattempo ho mandato un prossimo “Bloc Notes”) mi telefona per dirmi che non fu lui a iniziare le acquisizioni delle carte Gelli in Uruguay, ma Forlani; che non sono state pagate; che solo una piccola parte delle carte riguarda fascicoli forse ex Sifar. Ho riletto la lettera che il giorno del rogo dei fascicoli del Sifar, dopo che tornato nel 1974 al Ministero della Difesa avevo scoperto che non erano stati distrutti, inviai all’ammiraglio Casardi: “Non occorre che ripeta a lei che vana sarebbe stata la deliberazione di eliminare ciò che, illegittimamente acquisito, si è oggi bruciato, se dovesse in qualche modo restare l’equivoco sugli obblighi e sui diritti del Sid. Resta pertanto inteso che nessuno, dico nessuno, è legittimato a chiedere o a svolgere indagini o altri adempimenti che non riguardino strettamente i fini istituzionali del Servizio. E nell’ambito della sua competenza il Sid si asterrà da prendere in considerazione e a maggior ragione dall’assumere in carico di archivio carte di anonima provenienza. Così pure le informative dei confidenti devono essere conservate nei fascicoli soltanto con l’indicazione della loro natura e in modo che risultino chiaramente quelle che sono notizie, rispetto alle intuizioni, osservazioni ipotetiche e commenti”.

D’altro canto, Andreotti non riteneva che i Servizi italiani dovessero patire qualche sorta di condizionamento da parte dell’intelligence straniera, in particolare ancora quella degli Usa, allineandosi in questo senso alla posizione in merito mantenuta dall’allora presidente del Consiglio Craxi. Ricordava nel 1985: «Al Consiglio di gabinetto Craxi interviene sulla dichiarazione di Formica sulla presunta sudditanza dei nostri Servizi segreti alla Cia: “È ridicolo. Siamo il Paese Nato più fedele, abbiamo messo i missili, perché dovrebbero disaggregarci?”».

In questa fase l’attività d’intelligence italiana si incrociava fortemente con la questione mediorientale, e nel diario vi sono due commenti in particolare che riecheggiano la visione sui Servizi di Andreotti. Il primo ottobre 1985 vi fu un bombardamento di aerei israeliani nei pressi di Tunisi finalizzato a colpire il quartiere generale dell’Olp; si trattò di una rappresaglia a seguito dell’uccisione di tre civili israeliani a Larnaca nei giorni precedenti. Andreotti scriveva di seguito, con il suo consueto accento ironico: «In una intervista Arafat afferma che sull’attentato agli uffici della British Airways a Roma lui non c’entra e che, se si vuole sapere di più, ci si deve rivolgere ai Servizi segreti (così ha tradotto in simultanea la tv). Invece dal sottofondo emerge che Arafat dice “Servizi segreti italiani”».

E lo stesso Andreotti, insieme a Craxi, si sarebbe impegnato particolarmente per «convincere Arafat ad accettare una soluzione pacifica del conflitto con Israele, basata sul reciproco riconoscimento […]». Sempre sul fronte mediorientale, va detto anche che nel novembre del 1985, lo statista democristiano si trovò ad affrontare da ministro degli Esteri il sequestro della nave italiana Achille Lauro da parte di un commando di palestinesi, condividendo la presa di posizione del presidente del Consiglio Craxi e le relative ripercussioni sui rapporti diplomatici con gli Usa nella crisi di Sigonella.

Nell’aprile 1986, vi fu poi la questione del bombardamento americano di obiettivi libici a Tripoli e Bengasi; quando due missili libici furono lanciati contro Lampedusa, sarebbe arrivata da parte italiana una diffida alla Libia. Certamente molti aspetti di queste complesse vicende coinvolgenti i Servizi sono ancora da approfondire, e la progressiva disponibilità di documenti potrà chiarirne i passaggi che in molti casi dovettero passare sul tavolo dell’allora ministro degli Affari esteri. In generale, si può comunque avanzare in ipotesi la posizione di fondo di Andreotti rispetto ai Servizi, di attento e cauto ascolto, di tutela dell’autonomia da pressioni esterne e a un tempo, qualora necessario, di confinamento nell’eccessiva estensione del loro raggio d’azione.

Sostanzialmente, anche in questo delicato contesto, risultano confermate alcune caratteristiche per così dire strutturali dell’attività politica di Andreotti, soprattutto quella inclinazione alla prudenza che in alcuni casi poteva anche sfociare in una forma di scetticismo. Un atteggiamento, ultimamente, espressione di una modalità di ragionamento di chi era uso muoversi facendo sempre riferimento alle fonti, ai documenti ed era teso costantemente a verificarne l’attendibilità. Un ulteriore appunto del diario, ricco di modi obliqui, attesta di questa modalità di lettura delle informazioni, sempre aperta al dubbio e pronta a una riconsiderazione di fatti e situazioni:

2 febbraio [1986] Incontro l’ammiraglio Martini [Sismi]: Israele sarebbe contro gli Usa (politica non chiara, abbandono di amici come Gemayel ecc.). Conferma che i due palestinesi di Fiumicino hanno fatto scalo in Jugoslavia, partendo da Damasco. Un uomo del Servizio siriano, di cui si conosce l’indirizzo e il capo (un brigadiere generale di Aeronautica), sarebbe il riferimento dei terroristi palestinesi. La Russia ripristinerebbe l’ambasciatore in Israele e accetterebbe una conferenza ma senza Cina (quindi non con tutti i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu). Peres agirà anche contro Shamir (??) .

×

Iscriviti alla newsletter