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La Conferenza sul futuro dell’Europa. Politeia o finzione?

Il 10 marzo, dopo il fallimento dei tentativi precedenti e l’indifferenza con cui la recente presidenza tedesca ha trattato la Conferenza, i presidenti di Commissione, Parlamento e Consiglio hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta che la rilancia, ne avvia il processo, ne fissa i contenuti, la gestione, le procedure, i tempi ed indica la destinazione del rapporto finale. Luci e ombre secondo Carmelo Cedrone

Sinora il cammino della “Conferenza” è stato tortuoso, privo di entusiasmo ed equivoco. Una proposta lanciata da Macron e concepita prima della pandemia, con tempi e prospettive diverse. Si parlava, e si continua a farlo, del “futuro dell’Europa”. Il futuro, nel frattempo, è già arrivato. Naturalmente ha trovato l’Europa impreparata com’è avvenuto tante volte in passato. Un’Europa che non c’è, visto che continua a mancare gli appuntamenti più importanti e vitali per i cittadini. Ne è una ulteriore dimostrazione l’attuale vicenda dei vaccini. Gestita in maniera dilettantesca, da incompetenti, aggravata dall’incapacità dell’Unione a produrre i vaccini direttamente e rapidamente, mentre si continua a dire, fingendo, che siamo la prima economia del mondo. Ci si dimentica di aggiungere che invece siamo ancora la somma di 28, anzi di 27 economie divise, Eurozona compresa.

Il 10 marzo finalmente, dopo il fallimento dei tentativi precedenti e l’indifferenza con cui la recente presidenza tedesca ha trattato la Conferenza, i presidenti di Commissione, Parlamento e Consiglio hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta che la rilancia, ne avvia il processo, ne fissa i contenuti, la gestione, le procedure, i tempi ed indica la destinazione del rapporto finale. Per quanto riguarda i contenuti si fa riferimento all’economia come servizio ai cittadini, alla “cittadinanza”, alla politica sociale, all’ambiente, al digitale, alla politica internazionale, alla democrazia ed alle competenze dell’Unione. Per quanto riguarda la procedura si parla di “dialoghi di cittadinanza”, dal basso verso l’alto, per dare la possibilità ai cittadini, giovani compresi, di esprimersi su ciò che li riguarda. È prevista “l’organizzazione di panel europei e nazionali”, con eventi on line, ed il coinvolgimento delle istituzioni nazionali. La gestione viene affidata ad un comitato esecutivo di 9 membri, più 4 osservatori per ogni istituzione. Ci sarà “una Sessione Plenaria della Conferenza che gestirà le raccomandazioni dei “panel”, ma non è chiaro come ciò avverrà.

Se esaminiamo le proposte e pensiamo in positivo, bisogna convenire che siamo di fronte ad una novità, ad un rovesciamento dell’approccio sinora seguito. Si parte dai contenuti, non dalle riforme necessarie all’Unione per realizzarli. Senza scomodare Platone o Aristotele, i tre presidenti, vogliono forse realizzare una “Politeia”? Una scelta importante, che andrebbe perseguita fino in fondo, per dare attuazione alle indicazioni che verranno dalla consultazione, ivi comprese le riforme istituzionali necessarie. In tal caso si tratterebbe di una grande opportunità, una scommessa fatta dal Parlamento, dalla Commissione e dal Consiglio. Ma, pensando in negativo, qualora ciò non accadesse, sulla base di altre esperienze simili, utilizzate come surrogato della democrazia, c’è il rischio che l’iniziativa diventi una finzione, con il fallimento della Conferenza. Di sicuro provocherà un approfondimento del solco tra cittadini ed Unione, nonostante le speranze di cambiamento aperte, all’inizio della crisi pandemica, con la sospensione del patto di stabilità e con la decisione del luglio 2020, visto che la promessa della Commissione di vaccinare subito tutti gli europei è già fallita, o quantomeno è stata ridimensionata.

C’è da sperare che i tre presidenti abbiamo valutato oculatamente le conseguenze della loro scelta per evitare che si tramuti in un “bluff”. Sono disposti ad andare fino in fondo per realizzare gli obiettivi indicati? Se necessario, anche a costo delle loro dimissioni? Bisogna notare inoltre che, al di là della procedura indicata, mancano completamente dal dibattito alcune tematiche fondamentali, tra cui la “riforma” delle istituzioni, il completamento dell’Uem e così via. Manca “il modello” di riferimento o da costruire. Almeno per il momento non c’è. Dovrebbe scaturire dal dibattito sulla dimensione democratica dell’Ue, purché diventi il punto centrale della Conferenza.

Ma invece, pensando alla prassi ed al linguaggio comunitario, tutto appare vago e generico. Anche i tempi. Non viene nemmeno indicato l’inizio e si fa riferimento ad una ipotetica conclusione dei lavori nel primo semestre del 22, durante la presidenza francese. Un finale incerto, com’è incerto l’esito delle conclusioni: una relazione finale da trasferire ai tre presidenti che poi decideranno come darvi seguito, senza che per ora ci dicano nulla. Prendere o lasciare. Bisogna fidarsi? In verità troppo poco. Il vero punto dolente della Conferenza è proprio questo: il destino della relazione finale, cioè delle proposte scaturite dal dibattito. Un dibattito in apparenza pomposo, in netto contrasto con l’utilizzo delle sue conclusioni, rimaste sospese nel vuoto. Una dimostrazione della debolezza di tutta l’impalcatura della Conferenza, al punto da mettere in serio dubbio la sua ’efficacia ed il suo risultato. È rimasta in piedi l’impostazione nata prima del Covid-19, più per non dire un terzo “no” alla Francia che per convinzione. Non è stato aggiornato nemmeno l’elenco delle materie in discussione, per consentire all’Unione di ridefinire meglio le sue competenze, le sue priorità ed il suo processo decisionale.

Processo ben noto. Come sono note le procedure fissate dal Trattato per prendere le decisioni e fare le riforme. Perché la dichiarazione dei tre Presidenti non le menziona? Basterebbe utilizzare il Trattato attuale, cambiarlo, se necessario, o farne un altro, ma nulla viene detto. Se ne parlerà dopo? Chi lo farà? E i cittadini? Tutto viene lasciato aperto, forse per non creare contrasti anticipatamente? In questo caso è positivo. Oppure la vaghezza serve a tenere fuori i cittadini e lasciare le istituzione libere di arrivare a qualunque decisione, ivi compresa “nessuna decisione”? Una procedura a cui l’Unione ci ha tristemente abituati da tempo, per rincorrere l’unanimità. Spesso un alibi per lasciare le cose come stanno. Sarebbe la fine. Un comportamento a cui bisogna porre termine. Noi vorremmo credere alla “Politeia”, una scelta molto seria, se non viene ridotta a puro esercizio retorico. Giusto definire insieme i contenuti a cui affiancare le riforme necessarie. Purché si facciano, in contemporanea. Con chi ci sta. Eliminare il diritto di veto e allargare la base democratica. Mettere così la nuova Unione in condizione di decidere autonomamente sulle materie di sua competenza.

In questo senso ci dobbiamo impegnare per la Conferenza o altro. Dovrà farlo tutta l’Italia, come “sistema Paese”, per realizzare l’Unione politica, ad ispirazione federale. Adesso.

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