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Mps corteggiata da una cordata americana. Ma il governo…

Due mesi fa al Tesoro, azionista del Monte, è arrivata la proposta di un pool di investitori a stelle e strisce, per entrare nella banca che il governo vorrebbe spingere tra le braccia di Unicredit. Ma la scarsa esperienza bancaria degli americani avrebbe scoraggiato il governo. Ma a Siena serve uno sposo…

Forse è colpa della pandemia, ma il salvataggio di Mps propedeutico al disimpegno dello Stato (azionista, a mezzo Tesoro, al 64%), sembra essere finito in naftalina da qualche settimana. Sulla banca più antica del mondo incombe un aumento di capitale da 2,5 miliardi, euro più euro meno, senza il quale sarà impossibile stare sulle proprie gambe, una volta mollata la presa pubblica, come nei desiderata dell’Ue.

Ma chi lo sottoscriverà, entrando a piè pari nella banca, è ancora un mistero. Unicredit, passata sotto la guida di Andrea Orcel dopo il discusso addio di Jean-Pierre Mustier, è ancora il candidato più probabile a rilevare il Monte. Ma oggi Bloomberg racconta una novità. E cioè che due mesi fa dall’altra parte dell’Atlantico è arrivata un’offerta diretta al Tesoro per rilevare il controllo della banca. Ma qualcosa è andato storto.

Un gruppo di investitori statunitensi guidato dall’ex membro del Congresso Norman Dicks a partire dalla seconda metà del 2020 si sarebbe fatto avanti su Mps, forte di un piano da 4 miliardi di euro (4,8 miliardi di dollari), racconta Bloomberg. Peccato che, sottolinea l’agenzia, la proposta sia in contrasto con lo sforzo del governo italiano di spingere Rocca Salimbeni tra le braccia di Unicredit.

Presentata intorno a Natale, l’offerta degli Stati Uniti includeva non meno di 900 milioni di euro per coprire il fabbisogno di capitale della banca, parte dell’aumento. Le resistenze italiane sarebbero figlie di una certa diffidenza verso un pool di investitori che non ha precedenti nel settore bancario e le loro credenziali finanziarie sarebbero state considerate scarse. “Gli avvocati dei possibili investitori hanno faticato a garantire che i medesimi hanno davvero i soldi per portare a termine l’operazione”, rileva l’agenzia, accreditando, almeno in parte, la tesi italiana.

C’è però un piccolo giallo. Sempre secondo Bloomberg, lo stesso Montepaschi ha smentito di essere a conoscenza della proposta statunitense né di essere mai stata contattata da quegli investitori o dai loro consulenti. E dire che mentre Draghi si affanna per rendere l’Italia pronta alla ripresa, la questione di cosa fare della banca senese è una delle principali sfide del governo.

Il retroscena prosegue. Dopo aver stabilito il primo contatto con Siena, gli investitori statunitensi hanno inviato un rappresentante a Roma, dove hanno cercato di ingaggiare esperti bancari e hanno contattato diversi avvocati, alcuni vicini alla cerchia dell’ex premier Conte. Il quale avrebbe inizialmente tenuto aperta la porta all’ingresso degli americani. La proposta era insomma lì, sul tavolo. Ma la crisi di governo e l’arrivo di Draghi ha sparigliato le carte. Congelando di fatto il tutto. Risultato, gli investitori stanno ancora aspettando di avere notizie dal Tesoro e stanno spingendo per un incontro per rimettere in moto il processo. Sempre che ne valga la pena.

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