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Il dato è mio e lo gestisco io. Così Pechino sfida Washington

Un nuovo emendamento nella legge sulla protezione delle informazioni prevede il divieto di fornire dati a polizie straniere senza ok di Pechino. Una misura destinata a entrare in conflitto con il Cloud Act voluto da Trump

La Cina sta preparando una nuova stretta “sulla sicurezza”. Infatti, il nuovo progetto di legge sulla sicurezza dei dati cinese si arricchisce di un nuovo emendamento: le compagnie tech potranno condividere dati stoccati nel Paese con le polizie straniere soltanto previa autorizzazione da parte di Pechino. Lo scrive oggi il South China Morning Post.

Si tratta di una mossa che renderà più difficile per i sistemi giudiziari e gli apparati di sicurezza esteri l’accesso a dati conservati in Cina e, quindi, perseguire anche eventuali reati.

Il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo è arrivato alla seconda lettura della bozza questa settimana, dopo che la prima è stata effettuata a giugno dello scorso anno, hanno segnalato i media cinesi.

Il progetto di legge va letto in coordinamento con la Legge sulla protezione dei dati personali e rappresenta la prima normativa complessa sulla materia in Cina, nonostante la Repubblica popolare ospiti alcuni dei giganti tecnologici della rete che maneggiano un’enorme quantità di dati anche provenienti da fonti estere.

Secondo quanto riferito da China News Service, l’emendamento prevede una multa fino a un milione di yuan (154.000 dollari) per le compagnie che trasmettono dati ad agenzie giudiziarie e di sicurezza straniere senza il consenso del governo. È prevista anche una sanzione, di minore portata per i privati.

La normativa è destinata a entrare in palese conflitto con il Cloud Act (Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act) voluto dall’ex presidente statunitense Donald Trump, che consente alle forze dell’ordine statunitensi di chiedere accesso a informazioni online a livello globale, senza discrimine rispetto a dove esse siano conservate.

La Cina ha già richiesto a compagnie straniere come Apple di conservare i dati generati localmente nel territorio della Repubblica popolare. Se la norma dovesse essere approvata così com’è, un’azienda americana come Apple potrebbe trovarsi nella condizione di dover chiedere alle autorità cinesi il via libera alla condivisione di dati da essa stessa conservati in territorio cinese.

Ma non è tutto. La mossa rischia di generare incertezza nelle aziende che operano in Cina. Secondo Alex Roberts, avvocato dello studio legale Linklaters, citato dal quotidiano di Hong Kong, “molte aziende hanno espresso la preoccupazione che l’ambito della legge sia vago e potrebbe potenzialmente entrare in conflitto con gli obblighi imposti nei loro mercati nazionali”.

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