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Bravo Di Maio. Ma da Tangentopoli a Falcone, mancano molte scuse. Parla Martelli

Il leader fa bene a chiedere scusa per il giustizialismo a Cinque Stelle, soprattutto nel caso del sindaco di Lodi, ma è ora di passare dalle parole ai fatti, a partire dalla prescrizione. Le scuse mai arrivate dalla politica italiana sono tante. Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia e braccio destro di Craxi, ci tiene a rinfrescare la memoria

“Lui almeno ha chiesto scusa”. Meglio tardi che mai, dice Claudio Martelli, già ministro della Giustizia e colonna del Partito Socialista, braccio destro di Bettino Craxi, quando gli si chiede di commentare il pentimento di Luigi Di Maio. In quella lettera al Foglio in cui il ministro degli Esteri chiede scusa dei trascorsi giustizialisti, suoi e del Movimento Cinque Stelle, dopo l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi del Pd Simone Uggetti, c’è “una maturità, anzi una maturazione”.

Martelli, tornato in trincea a settantott’anni con la direzione dell’Avanti!, ha sempre avuto un’allergia ai magistrati in politica, e ancor di più ai “politici magistrati”. “Di Maio è quello che più sa imparare fra i Cinque Stelle”. E poi, aggiunge, non tutti sanno chiedere scusa. “Il Pd dovrebbe farsi due domande. Io non dimentico che il primo a lesionare il principio della prescrizione è stato il ministro Andrea Orlando. Non è un mistero che il Pd in questi anni abbia sbandato tra garantismo e giustizialismo”.

Quindi? “Quindi bravo Di Maio, e impari il Pd. Sarebbe bello se qualcuno al Nazareno facesse autocritica come lui, su altre gogne. Come quella inflitta dal Partito comunista a tanti socialisti, e pure a qualche compagno, all’ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati. Non solo il suo partito non lo ha difeso, lo ha anche isolato, abbandonandolo a un’interminabile odissea giudiziaria”.

A far la lista dei mea culpa mancati dalla politica italiana non si finisce più, ragiona Martelli. Che ha visto in prima fila la fine della Prima repubblica sotto i colpi delle toghe di Mani Pulite, il terremoto di Tangentopoli. E così pure le faide che, quando era Guardasigilli, hanno infiammato i corridoi di via Arenula.

“Ho letto di recente Luciano Violante sostenere che Giovanni Falcone, una volta arrivato al ministero della Giustizia a Roma, divenne inviso non solo al Pci ma a tutta la sinistra. Ci vuole un bel coraggio. Ricordo che fu un certo ministro Martelli a chiamarlo. Già a Palermo fu denunciato al Csm dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che lo accusava di tenere nascosti nei cassetti i nomi dei mandanti politici dei più gravi delitti di mafia, da Mattarella a Dalla Chiesa. A Palermo, non a Roma, il Csm bocciò la sua nomina a capo dell’ufficio istruzione. Lo accusarono perfino di essersi organizzato da solo l’attentato dell’Addaura. Giammanco gli sottraeva le indagini e non lo informava delle operazioni contro Cosa Nostra”.

E questo che c’entra con Di Maio? “C’entra perché sono trent’anni che la politica non chiede scusa, per cose ben più gravi. Di Maio ha studiato, ovviamente gli esami non finiscono mai. Vediamo se questa svolta si applicherà ad altri ambiti”. Cioè? “Penso alla prescrizione. Spero che la riflessione sul giustizialismo a targhe alterne faccia recedere i Cinque Stelle dalle posizioni più oltranziste. Finora chi li ha rappresentati al tavolo, Bonafede, è sembrato inchiodato a una visione che non solo non aderirebbe al principio costituzionale della ragionevole durata dei processi ma difficilmente otterrebbe il semaforo verde della Commissione europea”.

Insomma, dai buoni propositi si passi all’azione, chiude Martelli, “è il momento di dimostrare la discontinuità nei fatti”. Sulla riforma della Giustizia sul tavolo della ministra Marta Cartabia, però, l’ex Guardasigilli non si sbilancia. “Basta tirare i ministri per la giacchetta, non serve a nulla e genera solo effetti controproducenti. Cartabia sa benissimo come muoversi ed è già sottoposta a spinte e controspinte. Lasciamola lavorare”.

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