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Dirotta su Minsk. A chi conviene seguire il diritto internazionale

Protasevich, Assange, Snowden. Quando ad agire contro il diritto internazionale è uno Stato di consolidata tradizione democratica, le conseguenze nel medio-lungo periodo rischiano di essere molto peggiori rispetto a una violazione da parte di un regime. L’analisi di Igor Pellicciari, professore all’Università di Urbino e alla Luiss Guido Carli

In politica estera l’efficacia del diritto internazionale ricorda quella del diritto costituzionale in politica interna.

Entrambe discipline giuridiche raffinatissime, subiscono il sentire politico e lasciano ampi margini di interpretazione.

Nelle relazioni internazionali ciò che è accettabile dipende meno da leggi scritte e più da una mediana di consuetudini consolidate, alla cui definizione contribuiscono i comportamenti dei principali attori della scena diplomatica.

Come in tutti i contesti di regole non scritte, un ruolo importante lo assumono i precedenti storici.

Forti critiche ha suscitato il dirottamento dell’aereo diretto da Atene a Vilnius, di fatto obbligato dalle autorità bielorusse ad atterrare a Minsk dove uno dei suoi passeggeri, l’oppositore bielorusso Roman Protasevich, è stato arrestato.

A scanso di equivoci, ci associamo alla condanna di quanto avvenuto con la formula tranchant del “senza-se-e-senza-ma”.

Più difficile è condividere la sorpresa mostrata da molti per un episodio che ricorda un simile precedente, non a caso richiamato da Maria Zakharova portavoce del Ministero degli Affari Esteri Russo, in risposta polemica alle critiche di Ue e USA.

Correva il 1 luglio 2013 quando l’aereo del presidente della Bolivia, Evo Morales in volo di ritorno da Mosca, era stato costretto ad atterrare a Vienna, dopo che alcuni paesi europei,  tra cui Francia, Spagna, Portogallo e Italia avevano vietato l’autorizzazione di transito sul proprio spazio aereo, pare su richiesta della amministrazione di Barack Obama.

Il sospetto era che a bordo dell’aereo vi fosse Edward Snowden, l’ex-informatico della CIA che aveva rivelato il Datagate, forse il più grande scandalo di spionaggio di massa organizzato da governi occidentali a danno dei propri cittadini.

Dopo una sosta di ben 14 ore, durante le quali pare il velivolo sia stato “non ufficialmente” ispezionato con esito negativo, il Presidente Morales aveva ripreso la rotta originaria verso casa.

Si è trattato del primo caso in assoluto del dirottamento di un aereo Presidenziale, ovvero uno dei luoghi più inviolabili de jure e de facto nel diritto internazionale.

Se ne parlò poco in Occidente, mentre nel Sud America vi fu un diffuso senso di frustrazione e di protesta nei confronti di Washington tanto che il Segretario Generale dell’ONU dell’epoca, Ban Ki- moon apertamente auspicò che fatti del genere non avessero più a ripetersi.

Cercare oggi differenze formali tra i due episodi (uno volo di Stato, l’altro low-cost di linea) è esercizio utile per un’analisi tecnica ma non cambia la sostanza del giudizio politico su quelli che sono stati due atti di forza al di fuori delle consuetudini del loro periodo.

Poiché due errori opposti non si compensano a vicenda ma semmai si sommano, è inutile il disquisire (tipico della polemica di parte) su chi abbia più ragione o meno torto nei due casi a raffronto.

Il dirottamento di Protasevich è una forzatura come lo fu quello di Morales – e uno non può “giustificare” l’altro.

L’intera vicenda conferma quanto detto qui in apertura sulla importanza nelle Relazioni Internazionali del precedente nel segnare fin dove osa spingersi una politica estera, anche quando il limite è illegittimo.

Tuttavia, le conseguenze sono molto più complesse se la rottura con la tradizione diplomatica avviene non ad opera di una “pecora nera” ma di un soggetto rispettabile della comunità internazionale, come uno Stato tradizionalmente liberal-democratico.

Non meraviglia che un leader discusso come Alexander Lukashenko osi compiere un atto di forza come nel caso Protasevich, ma che nel farlo si richiami al precedente specifico di Morales, avvallato dallo stesso Occidente.

Fa certo effetto l’Iran che non rispetta il sacro principio di extraterritorialità di una sede diplomatica (la presa degli ostaggi americani a Teheran all’epoca dell’Ayatollah Khomeini resta una delle pagine più buie della storia diplomatica).

Ma impressiona di più quando lo fa il Regno Unito, patria del parlamentarismo, nel minacciare di fare irruzione nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove si è rifugiato il fondatore di Wikileaks Julian Assange. Accusato, peraltro, di reati simili a quelli mossi da Pechino ai dissidenti di Hong Kong o dalla Russia ad Alexei Navalny.

Grave è la Corea del Nord che rifiuta il visto di ingresso a personale diplomatico occidentale; ancora di più lo è più la civilissima Olanda che, per vietare sul proprio territorio iniziative pre-elettorali turche, a marzo 2017 arriva a negare l’atterraggio dell’aereo del Ministro degli Affari esteri di Ankara Mevlüt Çavuşoğlu, precludendogli l’accesso alle proprie sedi diplomatiche nei Paesi Bassi.

E questo per restare su precedenti episodici secondari, senza scomodare grandi eventi di cui il diritto internazionale ancora discute come l’annessione della Crimea alla Russia, l’intervento Usa in Iraq della teoria della Preventive Diplomacy e Humanitarian intervention di George W. Bush\Dick Cheney, o l’attacco franco-britannico alla Libia conclusosi, dopotutto, con il linciaggio di un Capo di Stato, Mohammar Gheddafi.

In altre parole, quando ad agire contro il diritto internazionale è uno Stato di consolidata tradizione democratica, le conseguenze nel medio-lungo periodo rischiano di essere molto peggiori.

E non per un motivo morale (la retorica dei “buoni vs cattivi” in politica estera alla lunga non regge) ma semplicemente pratico-politico.

Se smettono di credere in principi universali diplomatici  coloro che storicamente li hanno creati proprio per porre dei limiti al potere arbitrario in chiave internazionale, i primi a trarne ispirazione saranno quei soggetti abituati ad esercitare autoritarismo ed arbitrarietà al loro interno.

Con l’aggravante che, per via della loro stessa natura anti-democratica, oseranno spingersi ben oltre il precedente che li ha ispirati.

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