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Le ambizioni militari della Cina, anche nel Mediterraneo, spiegate da Legarda (Merics)

È la convinzione che sia “il momento della Cina” ad alimentare le ambizioni globali del Partito guidato da Xi Jinping, ormai determinato a caricare la postura internazionale del Dragone con una buona dose di hard-power. Seconda parte dell’intervista a Helena Legarda, senior analyst del Mercator Institute for China Studies di Berlino. Una base cinese nel Mediterraneo? Per ora no, ma in futuro chissà…

“La Cina vuole raggiungere lo status di potenza globale entro il 2049; per questo, sta lavorando per avere forze armante che possano combattere e vincere ogni possibile conflitto armato”. Parola di Helena Legarda, senior analyst del Mercator Institute for China Studies (Merics), intervistata da Formiche.net a margine della conferenza “Black sea and Balkan perspectives – a strategic region” organizzata dalla Nato Defense College Foundation (qui la prima parte dell’intervista).

La Nato sta progettando di essere più coinvolta nell’Indo-Pacifico?

Come ha detto il segretario generale Jens Stoltenberg, non si tratta della Nato che va nell’Indo-Pacifico, ma del fatto che la Cina sta arrivando nell’area euro-atlantica. Le relazioni sino-russe sono preoccupanti, ma lo sono anche le operazioni ibride della Cina in Europa o negli Stati membri dell’Alleanza. La vendita di armi dalla Cina ai Paesi alla periferia dell’area Nato, o molti comportamenti e attività cinesi nell’arena internazionale, già hanno un forte impatto sui Paesi dell’Alleanza, senza che questa sia mai stata coinvolta nella regione indopacifica. La sfida principale nel grande scenario viene dalle ambizioni della Cina sull’ordine internazionali basato sulle regole, su cui naturalmente è fondata la Nato, la quale ha tutto l’interesse di tutelarlo nell’attuale conformazione. Di conseguenza, è ovvio che la Cina sia estremamente insoddisfatta della nuova attenzione posta su di lei dalla Nato. Pechino è sempre stata piuttosto critica e diffidente nei confronti dell’Alleanza Atlantica, vista come uno strumento statunitense. La Cina teme che gli Usa, con la loro nuova attenzione sull’Indo-Pacifico, stiano spingendo la Nato verso la regione con l’obiettivo di contenere la crescita cinese.

Cina e Russia hanno talvolta condiviso la narrazione di essere “sulla difensiva”, assediate dagli Usa e i suoi alleati. Questa pressione percepita può spingere ancora di più l’una nelle braccia dell’altra, trasformando il “matrimonio di convenienza” in un vero matrimonio?

In una certa misura la pressione internazionale sta sicuramente spingendo Russia e Cina più vicine. Tuttavia, specialmente dal punto di vista cinese, questo non deriva dalla mancanza per Pechino di alternative o da un suo assoluto bisogno della Russia, quanto piuttosto perché entrambe si ritrovano ad affrontare livelli simili di pressione da parte di Usa ed Europa. Più l’Occidente usa contro i due Paesi leve simili, come le sanzioni dovute alle violazioni dei diritti umani, più queste due Nazioni si rendono conto di avere un interesse comune nel cercare di riformare l’ordine globale. La pressione internazionale porta, in qualche modo, in primo piano gli interessi, le minacce e le sfide comuni che devono affrontare. Detto questo, negli ultimi anni la Cina è passata da una postura difensiva ad una molto proattiva. La Bri fa parte di questo, ma anche la sua militarizzazione e la crescita delle sue ambizioni internazionali. Questo cambiamento ha a che fare con l’ambizioso obiettivo del grande rinnovamento della nazione cinese e con la sensazione che questo sia il momento della Cina, che deve espandersi all’esterno e rivendicare potere, spazio e influenza.

Ci spieghi meglio…

La visione del Partito comunista cinese (Pcc) ha sempre ruotato intorno al fatto di sentirsi circondati da un potere ostile. Gli Stati Uniti, e i loro alleati, sono spesso stati visti e ritratti non solo come intenti a contenere la Cina, ma anche intenzionati a provocare un cambio di regime. Di conseguenza, fino agli anni 90 o ai primi anni 2000 c’era questo senso di essere sotto assedio e l’approccio cinese era molto difensivo, come dimostrato dalla chiusura delle frontiere e la creazione del “grande firewall cinese” al fine di prevenire l’infiltrazione di idee occidentali. Col tempo, mentre il mondo diventava sempre più globalizzato, queste misure hanno smesso di essere sufficienti. Alle precauzioni precedenti, pur mantenute, si è ora aggiunta una postura più proattiva a livello internazionale, con l’obiettivo di preservare la stabilità e la sopravvivenza del regime e di rimodellare l’ordine globale. Quello che si è visto negli ultimi anni è anche il motivo per cui la percezione europea e americana della Cina è cambiata: è la Cina a essere cambiata e ad aver cambiato il suo comportamento nell’arena internazionale.

Uno degli effetti più evidenti della postura proattiva cinese è stata l’apertura della base di Gibuti nel Golfo di Aden, la sua prima base militare all’estero, in una zona strategica con una forte presenza militare occidentale. La Cina continuerà ad aprire basi come quella o questo sforzo diminuirà?

L’apertura di altre basi militari all’estero da parte della Cina non è solo possibile, è altamente probabile. L’argomento è trattato abbastanza spesso nei circoli politici e accademici cinesi. Il punto è che queste sono indispensabili. La Cina intende diventare entro il 2049 una potenza globale, e per allora vuole avere delle forze armate di classe mondiale che possano combattere e vincere una guerra. Una componente militare forte è vista come una sorta di precondizione per giungere allo status di potenza globale: per essere una potenza di prim’ordine c’è bisogno di forze armate potenti. Uno dei compiti della difesa cinese è la protezione dei propri interessi all’estero e più questi interessi si espandono, insieme alla sua sfera di influenza, m la Cina dovrà essere in grado di schierare i suoi militari lontano dalle proprie coste. Al momento la Cina non è ancora prossima a raggiungere lo status “blue-water” della Marina militare degli Stati Uniti, ma si muoverà in quella direzione. E parlando in termini di capacità militari, ad un certo punto, se non si dispone di basi proprie in altre parti del mondo, quando si tratta di dispiegamenti a lungo termine si incontra una sorta di barriera. Certo, si possono negoziare soste di rifornimento in alcuni Paesi, ma questo è complicato, richiede tempo e, soprattutto, si rischia di incontrare sempre più competizione. Dunque, è molto più stabile possedere delle proprie basi, e questo è un elemento riconosciuto molto chiaramente dalla Cina.

Possiamo aspettarci una base cinese nel Mediterraneo o nel Mar Nero?

Il Mediterraneo e il Mar Nero sono scelte improbabili per la Cina, perché sarebbero basi difficili da realizzare. Sarebbero difficili da negoziare, incontrerebbero una resistenza molto forte e, inoltre, non sarebbero strategicamente rilevanti per Pechino. La Cina intende difendere i propri interessi all’estero ma il modo in cui, per esempio, ha giustificato le sue operazioni a Gibuti è stato quello di inquadrarle nel contesto della protezione delle vie di comunicazione marittime dalla pirateria e dal terrorismo. La narrativa che circonda le basi, e l’impatto che hanno sull’immagine e la reputazione globale della Cina, è per Pechino estremamente importante. Una base nel Mediterraneo o nel Mar Nero creerebbe molto attrito con l’Europa, gli Usa e la Nato, forse persino con la Russia e con i Paesi ospiti, molti dei quali hanno legami economici e politici molto stretti con Ue e Usa, facendo apparire la Cina come un’aggressiva potenza espansionistica. Il trade-off tra costi e benefici sarebbe, con molta probabilità, svantaggioso. Le regioni che la Cina attualmente considera per le sue operazioni militari e la sua espansione sono concentrate nell’Indo-Pacifico. Nei prossimi anni sarà più probabile vedere costruire basi lungo la costa orientale dell’Africa, in Asia meridionale o in Medio Oriente. Più in là, chissà, ma il Mediterraneo e il Mar Nero sono scelte molto rischiose e appaiono al momento di difficile concretizzazione.

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