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Il sistema Draghi alla prova Ue. Scotti sulla tempesta d’autunno

Dalle bandierine di partito al coraggio delle scelte. Il sistema Draghi mette alla prova i partiti, che devono riadattare le strategie elettorali. Parla Vincenzo Scotti, ex ministro e volto storico della Dc. Conte? Ha imparato l’arte del compromesso. Mattarella bis? Appigliarsi a uno slogan è già una sconfitta

Un conto sono le bandierine di partito, un altro è il coraggio delle scelte. Anche quelle che, alle urne, possono non pagare. In fondo è questa la grande lezione dei primi sei mesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi, dice a Formiche.net Vincenzo Scotti, già ministro dell’Interno e degli Esteri, sette legislature in Parlamento, colonna della Democrazia Cristiana.

Scotti, la politica italiana arriva alla pausa estiva con il fiatone, fra battaglie sulla Giustizia e tiro alla fune sul Green pass. In questi sei mesi i partiti hanno sofferto la prova Draghi?

In parte sì. Perché Draghi ha messo i partiti di fronte alle proprie responsabilità, si chiama realismo di governo. Questo governo si poggia su un fragile equilibrio, un accordo di lealtà. Siamo usciti da un tunnel di cui non conoscevamo la fine, abbiamo intrapreso un cammino orientato all’emergenza ma anche all’orizzonte al di là della siepe.

Quale orizzonte?

Le grandi riforme che ci attendono in autunno, ad esempio. O ancora il dibattito sulla Giustizia, da cui dipende il funzionamento strutturale del sistema Paese. Draghi non perde mai la pazienza di richiamare i partiti al dovere delle scelte, con bontà e rigore al tempo stesso. Sa chi mi ricorda?

Chi?

Ezio Vanoni. Per formazione, esperienza, e soprattutto visione. Penso al discorso di Draghi all’Accademia dei Lincei, quando ha spiegato che l’indebitamento è una scelta politica, perché non c’è risanamento senza sviluppo e investimenti, e gli investimenti comportano sempre un rischio. In fondo è quello che diceva Vanoni nel 1954 al Paese, poco prima di morire. Quando per senso di responsabilità è rimasto al suo posto, anche dopo le dimissioni in protesta del ministro del Tesoro Gava.

Cosa c’entra con il governo Draghi?

C’entra perché Draghi, come all’epoca Vanoni, ha il coraggio di prendersi responsabilità, e di richiamare a fare altrettanto la politica. Peraltro in un momento sensibile, con una stagione elettorale difficile in autunno e la prospettiva di una possibile crisi durante il semestre bianco.

Il governo può cadere?

Io credo di no. Ci può essere qualche scossone, ma nessuno oggi è in grado di assumersi un rischio del genere. Il vero pericolo è una crisi di sistema. Ora è più concreto rispetto a quando Draghi ha preso in mano il governo. Perché ha imboccato una strada di risanamento, crescita, sviluppo e riforme istituzionali che non si può lasciare a metà. A partire dal fisco: da settant’anni non c’è l’ombra di un cambiamento che non sia congiunturale.

Non solo. Pensioni, reddito di cittadinanza, lavoro. Sarà un autunno caldissimo.

Esatto. Abbiamo tamponato una crisi sociale con il Covid grazie a una politica di spesa e di sostegno temporaneo ai redditi. Ma dobbiamo realizzare che sono interventi, appunto, temporanei. Ora serve una ripresa e una crescita di medio-lungo periodo per assorbire l’indebitamento e rassicurare i nostri partner europei, specie i più riottosi.

Di cosa?

Che l’Italia è capace di governare con rigore una politica di sviluppo. Senza sottoporre questo sviluppo all’accetta e ai tagli indiscriminati della spesa.

Draghi ha detto che condivide il principio del reddito di cittadinanza. Lei è d’accordo?

Aiutare i soggetti deboli e disoccupati nell’immediato quotidiano è sacrosanto, purché si tratti di strumenti inseriti in un disegno concreto che possa dare frutti. Qui sta la nostra grande sfida di fronte all’Europa e al mondo. Abbiamo sospeso Maastricht e gli accordi su bilancio e indebitamento. Ora bisogna dimostrare ai partner in Europa che sappiamo trasformare il Recovery Fund in una manovra di sviluppo ed espansione del sistema produttivo.

Quanto dura la tregua europea sull’austerity?

Dura il tempo in cui siamo capaci di provare i frutti di una politica di espansiva e di indebitamento. La prossima uscita di scena della Merkel e la tenuta di Draghi sono due fattori fondamentali di questo equilibrio.

E la tregua politica in Italia? Il plebiscito di Conte per la guida del Movimento dà stabilità al governo o avrà l’effetto opposto?

Io credo che Conte come Grillo abbia già preso atto di una trasformazione in corso del sistema politico in questo anno, lo ha dimostrato di fronte alla riforma della Giustizia. Adesso si trova di fronte a un bivio: può ricorrere agli slogan per scuotere la pancia della gente, o imboccare la via più ripida, spiegare che in politica il compromesso non è cedimento, né segno di debolezza.

Una rielezione di Mattarella al Quirinale può blindare la legislatura?

La rielezione di Mattarella non può che essere un punto di arrivo, considerarla un punto di partenza sarebbe un errore. O meglio la constatazione dell’impossibilità di questa classe dirigente di fare una scelta alta e responsabile, di avere il coraggio di essere all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Affidarsi a una ricetta, a uno slogan è già una sconfitta. Come quando, condannandosi da soli, i politici italiani si giustificavano dicendo “lo vuole Bruxelles”. Quei tempi non devono tornare.

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