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Pakistan e non solo. Chi ride (e chi piange) nel risiko afgano

Conversazione con Ahmad Rafat, giornalista esperto di Medio Oriente e già vicedirettore di Adnkronos International. Il Pakistan ha ormai le chiavi dell’Afghanistan, e all’Iran non piace neanche un po’. Gli Usa puntano sul Qatar e hanno inviato un messaggio ai sauditi. Panshir? Non riusciranno a piegarlo

A tre settimane dalla caduta di Kabul il risiko afgano inizia a prendere forma, a delineare vinti e vincitori. Dell’ultima schiera fa parte il Pakistan di Imran Khan, presente sul campo con il servizio segreto dell’Isi (Inter-services intelligence) e ora sospettato di coordinare l’offensiva talebana contro la resistenza nel Panshir. Per Ahmad Rafat, giornalista esperto di Medio Oriente e già vicedirettore di Adnkronos International, la partita per il destino dell’Afghanistan è ancora aperta.

Pakistan e talebani, legame indissolubile?

Da sempre l’Isi guarda le spalle ai talebani. Vent’anni fa fu determinante nella presa e nel mantenimento del potere a Kabul, lo state building non è il loro forte.

Qui però siamo un po’ oltre. Droni, elicotteri, armi.

Sì, c’è stato un salto di qualità, non erano mai intervenuti militarmente. Ho parlato con amici nella resistenza. Mi hanno spiegato che i talebani non sono in grado di utilizzare buona parte della tecnologia lasciata in eredità da Stati Uniti e forze Nato. Sono stati i piloti pachistani a sferrare attacchi aerei sul Panshir.

A questo serviva la visita a Kabul del direttore dell’Isi Faiz Hameed?

Una visita di controllo, a 24 ore dall’offensiva, per verificare l’addestramento e la logistica. Qualcuno non l’ha presa bene.

Chi?

Gli iraniani sono infuriati. Sono stati tra i primi a mostrarsi vicini ai talebani, non sopportano un coinvolgimento così diretto dei pakistani. Le parole di sostegno a Massoud pronunciate dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano sono molto eloquenti.

Perché Teheran si interessa alle sorti del Panshir?

Due motivi. Il primo: nel Panshir ci sono uzbeki e afgani di cultura Tajik o persiana. Molti parlano l’iraniano, non è un dettaglio.

E il secondo?

La Repubblica islamica si era convinta che le aperture ai talebani le avrebbero dato un ruolo maggiore nella costruzione del nuovo Afghanistan con loro al potere. L’intervento coordinato dal Pakistan in Panshir racconta un’altra versione.

Cosa spinge il Pakistan a un azzardo simile?

Il Pakistan gioca con i talebani come l’Iran gioca con i curdi sciiti e iracheni, o con Hezbollah in Libano. I Taleb sono una pistola sul tavolo: se volete l’Afghanistan sotto controllo, diminuite la pressione contro di noi.

Il Pakistan conta più della Cina in questo momento?

C’è un gioco per procure. Cina e Russia hanno trovato in Pakistan e Iran i due “agenti locali” per operare sul campo. In questa fase la prima fazione sta avendo la meglio. Non sarà facile spezzare il legame: i pakistani hanno bisogno dell’aiuto cinese contro l’India.

Russia e Cina hanno interessi divergenti?

Fino a tre settimane fa convergevano su un solo obiettivo: cacciare l’America. Adesso è arrivato il momento della spartizione, tutta un’altra storia.

L’America si è ritirata ma non è scomparsa. Chi è oggi l’alleato più strategico di Washington nella regione?

Il Qatar, senza dubbio. Il via libera alla presa del potere da parte dei talebani, dopotutto, è stato anche uno schiaffo all’Arabia Saudita da parte di Biden. Al contrario della vecchia leva, i sauditi non hanno rapporti con questa generazione di talebani che si sono lanciati nelle braccia del Qatar. Gli Emirati hanno capito il monito, e infatti stanno normalizzando i rapporti con Doha.

Insomma, è politica.

Non solo. C’è una faglia etnico-religiosa che divide le fazioni. Da una parte i Fratelli musulmani, cioè Qatar e Turchia. Dall’altra la cultura waabita di sauditi e la parte laica degli egiziani.

La bomba afgana avrà ripercussioni sugli accordi di Abramo siglati da Trump?

No, quegli accordi si sono congelati da soli, e non sono previste ulteriori adesioni.

Biden li ha frenati?

Certo, ma non è stato l’unico. È cambiato l’altro player fondamentale, Israele: Bennet non è Netanyahu. Molto dipenderà dall’evoluzione dei rapporti fra Occidente e Iran. Gli accordi di Vienna sono congelati, a fine mese gli europei lanceranno un ultimatum a Teheran: o ferma l’escalation nucleare, o si va avanti con la risoluzione dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica, ndr).

Torniamo all’Afghanistan. Cosa aspettarsi dal governo talebano?

Difficile dirlo. Lo hanno annunciato per venerdì scorso, tre giorni dopo neanche l’ombra. Non è un ritardo casuale: ci sono serie divergenze in seno ai talebani. In vent’anni, come l’Afghanistan, anche loro sono cambiati. La nuova generazione vuole fare concessioni e qualche apertura, la vecchia guardia la restaurazione del vecchio regime.

La resistenza continuerà?

Come ho detto, gli afgani sono cambiati, non tutti vogliono cedere i diritti acquisiti. Venticinque anni fa non c’erano manifestazioni, oggi in strada c’è perfino qualche donna.

Ma il Panshir è caduto.

Una parte, si continuerà a combattere. Né inglesi né sovietici sono mai riusciti a conquistarlo tutto, e così i talebani. Sulle montagne ci sono anche i pashtun e gli uzbeki, annientare tutti i nuclei di resistenza non sarà un gioco da ragazzi.

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