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Democrazia, luci e ombre del summit di Biden. Scrive Quintavalle

Buone le intenzioni, meno la realizzazione. Il Summit delle democrazie di Joe Biden portava con sé grandi aspettative. Alcune sono state deluse. L’opinione di Dario Quintavalle

Celebrando il Summit per la democrazia il Presidente americano Joe Biden ha realizzato una delle promesse elettorali contenute nel suo programma e delineato con chiarezza in un vecchio articolo su Foreign Affairs.

L’idea era di ristabilire la leadership degli Usa come grande polo delle democrazie mondiali, e gettare il combinato delle loro economie contro la Cina. Si era in campagna elettorale, e gran parte del suo discorso era polemico verso Trump, giudicato il solo responsabile della perdita di ascendente degli Usa sul mondo: ciò che è molto indulgente verso i suoi immediati predecessori.

Il summit, che si è celebrato tra l’8 e il 10 dicembre 2021, è il calcio d’inizio di un processo destinato a replicarsi tra un anno, ed è presto per trarne delle conclusioni. Ma se il programma era chiaro (rafforzare la democrazia e difendersi dall’autoritarismo; affrontare e combattere la corruzione; promuovere il rispetto dei diritti umani), all’atto pratico esso si è rivelato confuso sia nelle premesse, che negli obiettivi.

Nel linguaggio, il presidente Biden ha rievocato i maggiori successi degli Usa nel XX secolo: “Il trionfo della democrazia e del liberalismo sul fascismo e sull’autocrazia ha creato il mondo libero”. Questo ci riporta a un’epoca, quella della Guerra Fredda, in cui il mondo era diviso in due, e sotto l’egida degli Usa furono create istituzioni sovranazionali ispirate alla dottrina dell’internazionalismo liberale, cioè all’idea che la pace fosse garantita dalla reciproca collaborazione tra nazioni libere e sovrane.

Esisteva dunque una equazione democrazia – benessere – pace, che fu per molto tempo il fulcro del confronto dell’Occidente contro l’Unione Sovietica. Il Muro di Berlino era uno spartiacque tra ricchi e poveri, oltre che tra liberi e oppressi; e che l’Urss sia collassata non grazie a una guerra violenta, ma a una spinta competizione economica, sembrò confermare l’esattezza di quel presupposto.

Ma da allora molte cose sono cambiate. La Cina ha dimostrato che si può creare benessere senza democrazia (anche se, in un articolo congiunto, gli ambasciatori cinese e russo in Usa si sforzano di dimostrare che anche i loro sono sistemi democratici).

L’equazione democrazia – pace è venuta meno con la fine del servizio militare di leva. La grande opposizione popolare interna alla guerra del Vietnam era motivata anche dal fatto che a combattere venivano mandati coscritti. Ma un esercito composto interamente di volontari può combattere ovunque, per qualunque causa e fin quando ci siano risorse e volontà politica: le endless wars, appunto. Alla peggio ci sono i contractors – un modo chic per dire ‘mercenari’ – di cui si servono tanto gli americani quanto i russi.

Soprattutto, cosa intendiamo con ‘democrazia’? Tradizionalmente, un sistema basato sulla divisione dei poteri, responsabili verso il popolo e bilanciati tra di loro, con prevalenza del potere legislativo, espressione diretta del popolo mediante libere elezioni. Questa è ciò che in inglese si chiama “Rule of Law” o ‘Stato di Diritto”.

Ora, tutti noi che abbiamo studiato Giurisprudenza abbiamo presente la figura del mitico “Legislatore”, una sorta di saggio babbo che scrive regole generali e astratte, facilmente conoscibili e interpretabili da chiunque. La realtà, lo sappiamo, è ben diversa: una normativa confusa e alluvionale, influenzata da lobbies di ogni sorta e assemblata alla meglio, crea conflitti anziché dirimerli.

Gli avvocati sono tra i professionisti più pagati, e i giudici i funzionari pubblici – quasi mai eletti – più potenti e rispettati. “Ceci tuera cela”, profetizzava Victor Hugo a proposito del conflitto tra scrittura e architettura, ma può applicarsi anche all’inversione dei rapporti di forza tra i poteri normativi. Quando Tate e Vallinder scrissero il loro fondamentale “The Global Expansion of Judicial Power”, nel 1995, uno dei capitoli più lunghi era, non a caso, dedicato all’Italia.

Il principio elettivo e maggioritario è smentito dal crescente potere di burocrazie non elette, sia a livello nazionale (come le magistrature, le authorities etc.) sia a livello internazionale (come la Commissione Europea).

Ed è assai più basato sulla acquiescenza dell’astensionismo, che sulla partecipazione di massa. Biden è il presidente che ha raccolto più voti popolari nell’elezione con la più alta affluenza della storia degli Stati Uniti dal 1900. Eppure, l’astensione è stata al 33%: quindi, per lui ha votato solo un americano su tre.

L’impegno politico delle persone di valore è ai minimi termini – troppi rischi legali, pochi soldi, poco potere – per cui le istituzioni sono facilmente scalabili da minoranze organizzate piuttosto che da maggioranze disomogenee.

Infine, termini come Mondo Libero e Occidente sono troppo datati. L’idea di un Occidente geopolitico è relativamente recente e risale a quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli americani stabilirono con l’Europa un legame che non era più solo etnico (i bianchi), ma culturale. Ebbero così inizio gli studi di “civiltà occidentale” che giustificavano la presenza permanente degli Usa in Europa nella continuità tra la civiltà europea e quella americana: come nel titolo del libro di David Gress, “From Plato to NATO”. Oggi una crescente parte della società americana – che con l’Europa non ha alcun legame etnico – lotta per una contronarrazione culturale che priva completamente di senso l’idea di una civiltà occidentale omogenea e coesiva.

Anche il fronte degli avversari è troppo vasto e disomogeneo per avere un significato. Cos’hanno in comune il Venezuela che affama il suo popolo, e la Cina che lo arricchisce? E perché insistere nell’appiattire la Russia sulla Cina?

Insomma, i nemici della democrazia sono all’interno delle democrazie stesse, non all’esterno. E la minaccia posta dalla Cina non è di natura ideologica, né militare, ma economica. Come ha scritto un autorevole commentatore “Il vertice è stato una lodevole iniziativa statunitense costruita su un presupposto ampiamente errato”.

 

 

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