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Cosa chiedono i produttori a Biden per il petrolio di domani

Dal World Petroleum Congress l’esigenza di programmare, perché una trivellazione in più non si può improvvisare. Quanto alle strutture, i nuovi gasdotti e i bacini portuali offshore dimostrano che gas e petrolio sono ben lontani dall’essere pensionati

I produttori hanno rivolto un appello all’amministrazione Biden in occasione al World Petroleum Congress di questa settimana a Houston. Mentre l’amministrazione statunitense chiedeva ripetutamente all’Opec+ di pompare più petrolio per fermare il rialzo dei prezzi della benzina negli Stati Uniti, di contro non è riuscita a concordare con i produttori nazionali le maggiori forniture: questo lamentano le associazioni di categoria. I tifosi del petrolio e del gas ricordano al mondo (ai governi e alle imprese) che i combustibili fossili hanno contribuito a costruire la resilienza contro gli aspetti più pericolosi del cambiamento climatico e che le infrastrutture dedicate sono ben lontane dall’essere pensionate.

LE RICHIESTE A BIDEN

In sostanza i maggiori player, che hanno scelto di incassare denari piuttosto che reinvestirli in nuove trivellazioni, oggi chiedono più ascolto alla Casa Bianca che in un solo colpo da un lato chiede all’Opec+ di pompare di più, e dall’altro impone misure restrittive per trivellazioni su suolo Usa. Dall’assise del 23mo World Petroleum Congress è emerso che i maggiori produttori, come ad esempio Pioneer Natural Resources, non sono nelle condizioni di modificare il budget destinato alle azioni di trivellazione da un giorno all’altro, ma necessitano evidentemente di un lasso di tempo maggiore in un momento storico caratterizzato, inoltre, dalle pressioni degli investitori che richiedono rendimenti più elevati. Una contingenza che non solo influisce su scelte e strategie, ma ne determina pesantemente perimetri e obiettivi.

WORLD PETROLEUM CONGRESS

I partecipanti al World Petroleum Congress hanno ribadito che certamente la transizione energetica è necessaria per raggiungere l’obiettivo di azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, parametro fissato a Glasgow, ma al contempo hanno suggerito che i tempi non sono affatto brevi per sostituire petrolio e gas con l’energia rinnovabile. Inoltre secondo alcuni sarebbe un errore appoggiarsi pesantemente all’energia eolica e solare, ma occorre prendere atto che l’abbandono del petrolio e del gas richiederà molto tempo. Come osservato da alcuni dirigenti Exxon, vi sono al momento impianti petrolchimici che si stanno espandendo, al pari di gasdotti in costruzione come strutture portuali petrolifere offshore che vengono ultimate in queste settimane. Solo nel Mediterraneo, per fare un esempio, ci sono il Tap, il Tanap e in programma anche l’Eastmed, oltre ai controversi Nord Stream 2 e Turskish Stream. Vuol dire che, al netto dei passaggi diretti verso le necessaria transizione energetica, le pipeline sono ben lontane dall’essere messe da parte.

SCAMBIO DI CARBONE

Un altro tema snocciolato a Houston è stato quello del cosiddetto “scambio di carbone” tra stati. Punto di partenza, uno dei risultati più sostanziali del vertice di Glasgow, ovvero l’aver messo nero su bianco un vademecum di regole comuni a quasi 200 governi per lo scambio di emissioni di carbonio. In pratica i singoli paesi imporranno un prezzo sulle emissioni per raggiungere gli obiettivi di riduzione nazionali. Per cui quelle aziende che dovessero superare i parametri potranno acquistare crediti di carbonio da coloro che li hanno guadagnati grazie, magari, a politiche maggiormente green. Si apre, di fatto, un possibile commercio di carbonio tra società con sede in paesi diversi e in questo senso l’Ue dovrebbe stabilire le sue tariffe sul carbonio che potranno cambiare in virtù del carbonio consumato nella fabbricazione di alcuni prodotti.

MENO EMISSIONI

Come ottenere meno emissioni lo si ritrova nel pacchetto denominato Oil Sands Pathways to Net Zero presentato a Houston, secondo cui serve uno schema di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS) come “progetto fondamentale”, insieme ad altre misure per ridurre le emissioni, inclusi una serie di miglioramenti dei processi, come l’elettrificazione e la sostituzione del carburante, nella consapevolezza che come precisato da Mark Little, presidente e Ceo di Suncor, è interessante usare il tre per cento del petrolio mondiale che proviene dalle sabbie petrolifere e garantire che le loro emissioni raggiungano lo zero netto entro il 2050: “E penso che quando tutto è finito, il petrolio del Canada è il migliore che ci sia. Questa è una delle aree chiave su cui ci concentriamo e ci sono un sacco di cose diverse che stiamo facendo per far sì che ciò accada”. Suncor non è un player qualsiasi, ma il maggiore produttore di idrogeno nel Paese, producendo circa il 15% dell’idrogeno canadese e punta all’idrogeno pulito come estensione logica del modello di business dell’azienda.

@FDepalo

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