Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Per una vera politica attiva del lavoro, la Pa insegna al settore privato

Durante la pandemia in questo Paese accadono cose strane, a volte anche positive. Chi l’avrebbe immaginato che la Pubblica amministrazione fosse una volta tanto in grado di insegnare al settore privato la via e il metodo della formazione digitale? Il commento di Luigi Tivelli

Nei giorni scorsi, il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha varato un maxi piano di formazione per tutti i 3,2 milioni di dipendenti della Pubblica amministrazione: una costellazione molto allargata, frastagliata e diffusa sul territorio.

Il focus di questa formazione avverrà per via digitale grazie ad una piattaforma sviluppata dal dipartimento della funzione pubblica, dal nome evocativo di Syllabus. I corsi saranno sviluppati per varie aree tenendo conto anche della diversa padronanza di competenze di soggetti coinvolti. Il dato significativo è che questa piattaforma che consente di svolgere i corsi in forma digitale è stata approntata con il contributo di soggetti ad alta competenza tecnologica e digitale come Tim e Microsoft, i cui esponenti hanno partecipato alla conferenza stampa di presentazione del progetto.

Questa collaborazione virtuosa fra pubblico e privato, fra chi non detiene di per sé il know how e le tecnologie digitali e chi le detiene per ragione delle sue funzioni rappresenta un dato molto importante e significativo. Alla conferenza stampa il ministro Brunetta ha sottolineato che “comincia un percorso importante di ricarica delle batterie della Pubblica amministrazione che si aggiungerà al ‘cambio del sangue’ nella Pa legato ai turn over e alle assunzioni per l’attuazione del Pnrr”.

Se va salutata come opportuna e meritoria questa iniziativa tesa a coinvolgere tutti i dipendenti della Pubblica amministrazione e a migliorarne e allargarne le competenze, viene alla mente una analogia che riguarda il mondo del lavoro (o meglio del non lavoro) privato che già mi è capitato di richiamare da queste colonne. Tra i soggetti in cassa integrazione, o in Naspi, o in pre-pensionamento, o in altre formule analoghe, sono ben quattro milioni coloro che beneficiano di un reddito senza lavorare. Ebbene, non sarebbe finalmente giunto il momento di avvalersi delle piattaforme, dei metodi, degli strumenti digitali per formare o riconvertire molte di queste persone e avviarle finalmente ad un lavoro, o creare le premesse per una più efficace ricerca di lavoro?

È noto, ad esempio, che il livello di competenze medio dei beneficiari del Reddito di cittadinanza è molto basso: metodi e strumenti di formazione digitale potrebbero contribuire ad incrementare questo livello e a rendere queste persone finalmente appetibili per il mercato del lavoro. Il fantasma che poi da tempo si aggira nel mercato del lavoro è quello della “politica attiva del lavoro”, per la quale da tempo sono stati fatti annunci si attendono i primi risultati, la cui adozione viene però di fatto sempre rinviata.

Una seria politica attiva del lavoro potrebbe avvalersi di metodi e strumenti di formazione digitale per la riconversione professionale o per la ricollocazione di molti soggetti, ad esempio oggi in cassa integrazione, specie per quelli che lo sono da imprese destinate quasi certamente a morire. Invece, tra cassa integrazione, Naspi, eccetera i sussidi sono eterni e i lavoratori stanno solo ad aspettare, a parte quelli (ben più lo fanno i beneficiari del Reddito di cittadinanza) che lavorano in nero. Si sa che c’è un problema di soggetti attuatori di iniziative di questo tipo perché si può contare ben poco sui nostri asfittici Centri pubblici per l’impiego, ancor più asfittici nelle zone, come nel Mezzogiorno, in cui è maggiore l’inoccupazione. L’unica via per trovare soggetti attuatori adeguati è quella di puntare sulle agenzie private per il lavoro, che conoscono gli specifici mercati del lavoro di riferimento e la questione della formazione, della riconversione e della ricollocazione dei lavoratori ben meglio di centri pubblici per l’impiego e legioni.

La formazione professionale affidata alle regioni, anche qui in un quadro a pelle di leopardo, ha fatto poi per larga parte fallimento. Le vicende dell’Anpal, così come impostata dall’ex ministro dello Sviluppo economico Di Maio e il fallimento delle figure dei navigator sono poi noti a tutti. Su tutto questo incide poi il fatto che vige (è una delle varie assurdità della riforma del Titolo V della Costituzione) una competenza concorrente in materia di lavoro fra Stato e regioni. Ma ora l’Anpal sembra un po’ risanata e sarebbe finalmente il tempo, come ha chiesto ad esempio più volte con forza il presidente di Confindustria Bonomi, che il ministro del lavoro Orlando assumesse finalmente l’iniziativa per una seria politica attiva del lavoro. Senza il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro, su cui continuano ad esserci esitazioni anche da parte governativa, non sarà possibile una vera, operativa politica attiva del lavoro.

×

Iscriviti alla newsletter