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La Bce, l’inflazione e la Germania. Maastricht? Serve ancora. Parla De Romanis

Intervista all’economista e saggista: solo a marzo si capirà se l’inflazione durerà a lungo ma in ogni caso Francoforte non toccherà i tassi tanto presto. Maastricht serve ancora, chi vuole abolirne le regole dovrebbe capire che non impediscono la crescita. Draghi? In Italia servono riforme che costano in termini di voti, non so se questa maggioranza sarà in grado di farle

Bisogna andarci piano con i tassi. Sì, ai piani alti della Banca centrale qualcosa è cambiato e un aumento del costo del denaro non è più così un tabù. Ma il tempo si sa, è galantuomo, e allora se stretta sarà non sarà immediata. I mercati, lo spread Btp/Bund salito oltre i 160 punti base nel giro di pochi giorni sta lì a dimostrarlo, hanno fiutato il cambio di vento, eppure accelerazioni in stile Fed non sono da mettere nel conto, spiega a Formiche.net Veronica De Romanis, economista della Luiss e saggista.

La Bce ha mandato segnali inequivocabili nei giorni scorsi, l’inflazione ora preoccupa davvero

. C’era da aspettarselo?

Christine Lagarde ha detto che le stime sull’inflazione sono più alte del previsto ma ha anche ribadito la sua linea, ovvero lo stop progressivo agli acquisti di debito nelle prossime settimane. Solo una volta che tale programma sarà terminato allora potrebbe cominciare l’aumento dei tassi, pensato e immaginato non prima del 2023.

A questo punto se dovessimo cerchiare con il rosso una data sul calendario, quale sarebbe?

Io direi di guardare alla riunione del comitato esecutivo di marzo, lì si capirà se l’inflazione è davvero destinata a perdurare. Non dimentichiamoci mai che la situazione europea è molto diversa da quella americana, visto che l’economia del Vecchio Continente, a differenza degli Stati Uniti non è ancora sui ritmi pre-pandemia. Per questo Lagarde è stata chiara, avvertendo sui rischi di una stretta troppo anticipata, che potrebbe essere più dannosa dell’inflazione stessa. Un errore che abbiamo già visto nel 2011.

De Romanis, molti osservatori hanno letto nelle parole della Lagarde un primo riavvicinamento di Francoforte alle spinte tedesche per una politica monetaria meno accomodante. Ma la Germania conta ancora così tanto nell’Eurotower?

Questa è una bella domanda, in realtà la risposta è uno, uno come il voto tedesco nel board della Bce.

Però non possiamo negare che Berlino abbia un peso politico diverso…

I voti si contano, semmai la differenza è che la Germania, al pari di Francia e Italia ha due voti, ovvero board e comitato esecutivo. Però i tedeschi possono dire quello che vogliono, abbiamo visto tante volte l’ex governatore della Bundesbank, Jens Weidmann votare contro il Qe che poi è stato fatto lo stesso. Quindi il peso tedesco è essenzialmente relativo.

E pensare che la Germania, con un’inflazione al 5%, ha più di chiunque altro motivo di temere il rialzo dei prezzi e delle materie prime…

Questo è chiaro ma la politica monetaria si basa su indicatori medi dell’Unione, c’è chi ce l’ha alta e chi bassa. C’è il punto di vista tedesco, ma non è l’unico.

Parliamo di Maastricht. Oggi sono 30 anni del trattato che istituì l’Unione europea, e stabilì i famigerati parametri per i bilanci pubblici. Ha ancora senso?

Mettiamola in questo modo, noi siamo un’unione monetaria ma non fiscale, visto che le politiche fiscali sono ancora nazionali. Tanto basta a condividere il contagio finanziario, lo abbiamo visto con la Grecia, che da crisi locale divenne europea. Per evitare questi effetti-contagi servono regole, finché non diventeremo una unione fiscale, come gli Stati Uniti.

Però spesso le regole di Maastricht si sono dimostrate poco lungimiranti, se non dannose… o sbaglio?

Chi oggi critica e vorrebbe eliminare le regole di Maastricht, dovrebbe prima rileggersele. Scoprirebbe, come disse Mario Draghi nel 2016 quando era al vertice della Bce, che suddette norme hanno in seno tutta la flessibilità possibile. Questo vuol dire che se un Paese vuole crescere e di fare spesa per la crescita, può farlo, le regole lo consentono. Viceversa, se si decide di spendere per non generare crescita, penso ai 16 miliardi del bonus 110%, allora lì l’Europa interviene.

Chiudiamo su Mario Draghi. Archiviato lo psicodramma del Mattarella-bis, ora è tempo di spingere sul Pnrr. Arriverà un booster da Palazzo Chigi?

Questo è quello che avremmo dovuto fare, abbiamo mandato un piano a Bruxelles con degli obiettivi. Si dice spesso che l’Italia sia il primo Paese per risorse, ma forse non ci ricordiamo che insieme a Grecia e Romania, non due economie del nostro calibro, abbiamo deciso di prendere anche tutta la parte del Pnrr a debito. Altri, come la Spagna, sono stati più prudenti, chiedendo prima i sussidi. Questo vuol dire che abbiamo raddoppiato la nostra responsabilità verso le future generazioni. Il debito europeo costa meno ma sempre debito è. Riusciremo a ripagarlo?

Bella domanda…

Speriamo, ora servono riforma con un colore politico. Penso alla concorrenza e alla spending review che sono riforme urgenti e di cui il Paese ha bisogno. Ma questa maggioranza così eterogenea riuscirà a trovare un compromesso su riforme così sensibili?

Difficile, ma vale la pena sperare, non crede?

Sì, sarà difficile. Sia concorrenza che spending review non sono state fatte, nonostante se ne parli da anni. E sa perché? Perché sono riforme che hanno un costo politico, in termini di voti e che nessuno vuole fare.

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