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Armi all’Ucraina? Una riflessione si impone. L’opinione di Zacchera

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Marco Zacchera: l’Ucraina deve essere garantita nella sua neutralità, nella sua realtà territoriale, nel suo diritto ad avere un futuro non “in” Europa ma – almeno per ora – “con” l’Europa in attesa che la stessa Russia capisca il proprio interesse a fare la stessa scelta

Non credo che l’Italia stia facendo una buona mossa riaffermando quotidianamente la sua volontà di contribuire alle forniture militari all’Ucraina.

Non sto parlando solo dal punto di vista etico o costituzionale né semplicemente dal punto di vista commerciale o nei rapporti con Mosca, da cui l’Italia è stata comprensibilmente inserita nell’elenco dei Paesi “cattivi”: il concetto è che secondo me fornire armi potenzialmente offensive specificatamente all’Ucraina è uno sbaglio strategico che va evitato.

Senza ipocrisie bisognerebbe cominciare ad avere il coraggio di ricordare pubblicamente che l’Italia vende già armi a tutti. È un aspetto che troppe volte si fa finta di non vedere e del quale non si ama parlare, eppure siamo molto bravi nelle “triangolazioni” per glissare i trattati internazionali. Chi scrive fu relatore alla Camera della legge per il divieto di produzione delle bombe “cluster”, ma il timore che ce ne siano in giro ancora molte “made in Italy” anche in Ucraina è una realtà. Certamente, comunque stiano le cose, come italiani abbiamo tutto l’interesse a che soprattutto la guerra finisca presto, perché siamo tra quelli che perderanno di più se la guerra continuasse anche solo a medio termine.

Ricordandoci bene che è Putin l’aggressore e che l’Ucraina è la più debole e che se non ci fosse stata una aggressione russa non saremmo a questo punto, ma al di là di ogni aspetto etico sugli armamenti, mi chiedo se per accelerare la pace non sarebbe meglio sostenere l’Ucraina in altre forme piuttosto che dal punto di vista militare. Innanzitutto, è ovvio, con aiuti umanitari, ma anche con forniture militari specifiche purché solo “difensive” rispetto ad armi potenzialmente “offensive”.

Non è dando forza militare a Kiev che si avvicina la pace, anzi, se illudiamo l’Ucraina di difenderla comunque militarmente si sentirà più forte per continuare a combattere i russi sul terreno e sarà sempre più difficile e lungo trovare un accordo.

Attenzione: non bisogna assolutamente sostenere o giustificare l’aggressore, ma quello che ci serve subito (e serve a tutti!) è invece una tregua, un armistizio e per ottenerlo servono una reciproca serie di garanzie, non altre armi sul terreno. L’Ucraina deve essere garantita nella sua neutralità, nella sua realtà territoriale, nel suo diritto ad avere un futuro non “in” Europa ma – almeno per ora – “con l’Europa” in attesa che la stessa Russia capisca il proprio interesse a fare la stessa scelta.

Aiutare oggi l’Ucraina significa per esempio inviare cibo e materiale sanitario, ma anche “militare” se di difesa passiva (giubbotti, tecnologia difensiva, tende, ospedali da campo, cucine, mezzi di trasporto, infrastrutture del genio per il ripristino delle comunicazioni) ma non materiale bellico e non tanto o non solo per ragioni costituzionali, ma perché in questo modo la guerra sul terreno rischia di allungarsi.

Su questo fronte non mi piace la posizione di Joe Biden nei nostri confronti. Il Presidente Usa lancia infatti condivisibili proclami sui massimi sistemi, ma – al netto della propaganda – per gli Usa conta poco l’embargo energetico alla Russia visto che vale meno del 10% dei loro consumi, mentre per noi è ben diverso con punte del 45% delle forniture di gas. Allo stesso modo l’economia statunitense sostanzialmente non commercia con la Russia, noi invece sì ed interi settori italiani (dalla moda ai mobili, dalla alta gamma agli elettrodomestici) sono già in crisi per l’embargo.

Se poi Biden decide di evitare i rapporti diretti con l’Italia privilegiando altri Paesi europei nei suoi colloqui, a maggior ragione dobbiamo chiederci come mai noi dovremmo poi pagare un prezzo particolarmente pesante quando altre cancellerie europee prima di tutto pensano ai propri interessi strategici.

Ripeto che, comunque, non devono essere solo mere questioni economiche a farci riflettere sull’invio di armi, quanto un obiettivo di una pace il più presto possibile, anche perché se Putin decidesse di alzare l’asticella usando armi più potenti in Ucraina gli aiuti occidentali sarebbero comunque poca cosa.

Anche a livello europeo ci sono molte questioni che sfuggono e meriterebbero ben altro approfondimento, dalla distribuzione dei profughi nelle diverse nazioni europee ai costi per gli aiuti, alle garanzie di forniture energetiche reciproche per tutti i Paesi d’Europa che invece nessuno ci dà, tutti presi a pensare alle emergenze di casa.

Una volta di più piacerebbe vedere nel concreto cosa significhi “solidarietà europea”, quella che negli anni scorsi (si pensi all’immigrazione) proprio non si è vista con Italia, Grecia e Spagna costrette a dover pensare – e pagare – per tutti. Perlomeno una riflessione si impone.

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