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Termovalorizzatore e superbonus, spaccature che segneranno il voto

L’amalgama che aveva consentito la nascita dell’esecutivo si è dissolto nel doppio passaggio del voto sul Quirinale e del sostegno militare all’Ucraina. Lo scontro sul termovalorizzatore, cioè su un tema che lascia sbigottiti per quanto risulti incomparabilmente minore rispetto a questioni come la collocazione internazionale dell’Italia, la sua politica estera e la tenuta delle istituzioni, diventa un detonatore. Il mosaico di Fusi

Qualche giorno fa avevamo ironizzato sul fatto che un impianto per smaltire i rifiuti, chiamato termovalorizzatore, in uso da decenni nelle capitali e nelle principali città europee, potesse assurgere a simbolo della necessità di un pezzo della politica (e di Paese) di fare i conti con lo sviluppo, l’innovazione tecnologica, la transizione ambientale. Sembrava una cosa troppo anacronistica per essere vera.

Bene: quell’anacronismo si è trasformato in un nodo di prima grandezza nel cuore del rapporto tra Pd e MS5 e tra questo e il premier Mario Draghi. È successo cioè quel che bisognava a tutti i costi evitare: che il confronto, anche tra posizioni distanti, su come risolvere la questione della “monnezza” a Roma e in altre metropoli italiane si trasformasse in una guerriglia ideologica dove nessuno può vincere e tutti perdono, a partire dal Paese e dai bisogni dei cittadini.

Invece le cose vanno proprio così. Il MoVimento guidato da Giuseppe Conte in Consiglio dei Ministri si è astenuto rifiutandosi di votare il Decreto Aiuti – misura di notevole impatto economico per “ristorare” milioni di italiani dai riflessi negativi della guerra tra Russia e Ucraina anche se adottando il sistema dei bonus – perché all’interno sono stati inseriti i poteri speciali al sindaco di Roma per procedere con l’impianto.

Non solo. La querelle è proseguita quando di fronte al Parlamento europeo, in un discorso di grande impatto e lungimiranza, Draghi ha riconfermato la contrarietà ad un altro bonus, quello del 110 per cento per le ristrutturazioni edilizie, distorsivo del mercato e fonte di poca trasparenza nei lavori. Pur tuttavia accettando di rimettersi al Parlamento italiano dove quella misura va bene un po’ a tutti ma ai grillini in primo luogo.

Dove porta tutta questa tensione/divaricazione? Si può rispondere che allo stato è ancora troppo per arrivare ad una crisi e alla rottura della larga maggioranza a sostegno del governo; ma che al tempo stesso è troppo poco per derubricarla a ennesimo incidente di percorso di una coalizione eterogenea e poco coesa. Forse bisogna guardare meglio in faccia la realtà. E riconoscere che l’amalgama, poco o tanto che fosse, che aveva consentito la nascita dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce su indicazione del capo dello Stato Sergio Mattarella, si è dissolto nel doppio passaggio del voto sul Quirinale e del sostegno militare all’Ucraina. Un doppio passaggio in cui sono venute a galla tutte le difficoltà e le divaricazioni nella maggioranza e che lo scontro sul termovalorizzatore, cioè su un tema che lascia sbigottiti per quanto risulti incomparabilmente minore rispetto a questioni come la collocazione internazionale dell’Italia, la sua politica estera e la tenuta delle istituzioni, sia il detonatore che fa saltare gli equilibri.

Per il governo si vedrà, anche se cresce il tam tam di chi vede avvicinarsi lo show down e perfino le elezioni anticipate in autunno, con la legge di Stabilità da scrivere e a quel punto la credibilità italiana sul Pnrr a rischio disfacimento. Ma per quel che concerne il rapporto tra Pd e M5S è impossibile non evidenziare un progressivo scollamento che rende sempre piò ostico immaginare che le due forze politiche possano presentarsi appaiate al voto politico del prossimo anno. Enrico Letta ha preso una posizione molto precisa sulla guerra e ne ha fatto il caposaldo della sua leadership: tornare indietro o, peggio, rinunciare sarebbe per lui esiziale. Al tempo stesso Conte, in ritrovata sintonia con Beppe Grillo, sembra marciare, per dirla come Fabrizio De André, in direzione ostinata e contraria. E al termine di questo percorso non può che esserci la contrapposizione senza recupero.

Ma al di là degli scontri politici dove la tattica e l’occhieggiamento all’umore popolare da capitalizzare in voti troppo spesso prevale sulla lungimiranza e sugli interessi complessivi, la questione del termovalorizzatore squaderna in modo plateale quanto l’Italia sia indietro rispetto alla modernizzazione necessaria per contribuire allo sviluppo e alla crescita. Dopo la Tav, il Tap, le trivellazioni; mentre vengono rimesse in funzione le centrali a carbone a causa della sciagurata scelta degli anni scorsi di accrescere la dipendenza dal gas russo, l’incapacità di trovare soluzioni allo smaltimento dei rifiuti testimonia come l’Italia resti preda di oltranzismi e chiusure che ne limitano – in alcuni casi fino all’azzeramento – le potenzialità, rendendo il gap col resto d’Europa più vistoso e pericoloso. Una sciagura, non un’opportunità.

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