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Il jolly saudita pescato da Erdogan: arriva una fiche da 20 miliardi

È questo il frutto delle rinnovate relazioni sull’asse Ankara-Riyad, che offre una provvidenziale boccata di ossigeno alla situazione finanziaria sul Bosforo

La Turchia riceverà presto un deposito da 20 miliardi dall’Arabia Saudita in obbligazioni dopo il ripristino delle relazioni diplomatiche tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. È questo il frutto delle rinnovate relazioni sull’asse Ankara-Riyad, che offre una provvidenziale boccata di ossigeno alla situazione finanziaria sul Bosforo.

Conti turchi

Secondo quanto annunciato poche settimane fa dal ministro delle finanze turco, Nureddin Nebati, il Paese avrebbe bisogno di 30-35 miliardi di dollari per finanziare il suo disavanzo delle partite correnti. Una cifra importante, di cui una consistente fetta dovrebbe appunto arrivare dall’Arabia Saudita. La prima conseguenza si ritrova nel trend della lira turca che è aumentata rispetto al dollaro dopo la notizia pubblicata dal quotidiano Dünya, citando fonti del tesoro: la lira è stata scambiata in aumento dello 0,7% a 17,79 per dollaro.

Da mesi il governo di Erdogan sta tentando di reperire capitali dall’estero al fine di rafforzare le sue riserve di valuta estera, dopo che la banca centrale ha deciso di stanziare decine di miliardi di dollari delle sue riserve quest’anno in difesa della lira.

La seconda conseguenza è nella postura delle banche, che chiedono assicurazioni scritte dai loro clienti che non acquisteranno valuta estera con contanti ottenuti tramite prestiti. In sostanza ai correntisti è chiesta una sorta di promessa che non compreranno criptovalute o oro all’interno della nuova strategia finanziaria denominata di “liralizzazione”.

Lira & Inflazione

Per questa ragione il ministro del Tesoro e delle Finanze Nebati, particolarmente ottimista, ha inviato all’esterno e all’interno del Paese un forte messaggio di crescita ed occupazione osservando che la lotta contro l’inflazione continua: “Sconfiggeremo l’inflazione con la stessa determinazione con cui siamo riusciti a risolvere i numerosi problemi della nostra nazione”, aggiungendo che nonostante la guerra, lo stato dell’economia mondiale e l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, l’aumento dell’occupazione in Turchia ha raggiunto 862 mila persone.

Il governo dovrà confrontarsi però con alcuni numeri: il disavanzo delle partite correnti è salito a 3,46 miliardi di dollari a giugno, secondo l’annuncio della banca centrale, mentre il deficit è cresciuto di 2,27 miliardi di dollari rispetto a dodici mesi prima. Inoltre il divario delle partite correnti è cresciuto a causa del disavanzo nel commercio estero di merci, che è salito a 6,43 miliardi, aumentando di 4,79 miliardi da giugno dello scorso anno. Dall’inizio dell’anno la lira ha perso più di un quarto del suo valore rispetto al dollaro.

Non solo Arabia Saudita

Una mano a Erdogan non arriva però solo da Mbs. La società statale russa Rosatom ha accettato di trasferire 15 miliardi di dollari alla Turchia per la costruzione della centrale nucleare di Akkuyu da 20 miliardi di dollari, secondo Bloomberg. Ciò dimostra, una volta di più, l’esigenza turca di approvvigionarsi per affrontare sia la crisi della lira che l’inflazione galoppante, in vista delle elezioni previste per il giugno del 2023.

Ma non è tutto, perché pare possa riallacciarsi anche il rapporto economico con Israele: infatti Turchia e Israele potrebbero promuovere presto una conferenza sull’economia e le relazioni commerciali, forse in autunno, che manca dal 2009. Per questa ragione il ministro dell’Economia israeliano Orna Barbivai ha nominato l’ambasciatore Matan Safran nuovo addetto economico alla Turchia. E’ questa la logica prosecuzione della decisione israeliana di aprire un ufficio per l’economia a Istanbul, dopo il decennio di congelamento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

@FDepalo

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