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Sanzioni e caro bollette, Villa sgombra il campo dagli equivoci

L’analista dell’Ispi: “Ricordiamoci che sette mesi prima dell’invasione il calo delle forniture era già in atto ed era chiara la strategia a monte: metterci con le spalle al muro. Quindi, certamente c’è una responsabilità di Mosca che poi è stata amplificata”

Non è vero che il caro energia dipende solo dalle sanzioni alla Russia, dice a Formiche.net Matteo Villa, senior research fellow dell’Ispi (Europa e governance globale, migrazioni, datalab), secondo cui si fa troppa confusione tra un trend iniziato prima della guerra e la decisione russa di fermare anche gli altri gasdotti, oltre che il Nord Stream 1.

Crisi del gas e caro bollette: di chi la responsabilità e cosa c’entrano le sanzioni alla Russia?

È ovvio che il fatto che l’Europa e la Russia siano ai ferri corti fa sì che il Cremlino usi l’unica arma che ha, cioè diminuire le forniture. La questione della responsabilità, però, è un’altra cosa. Perché questo dibattito pubblico? Facciamo forte confusione quando diciamo che se non ci fossero state le sanzioni europee il Cremlino avrebbe deciso avrebbe deciso di non tagliarci le forniture.

Perché?

Dipende da quale sarebbe stata la nostra strategia: se da un lato è chiaro che se la Russia non avesse invaso l’Ucraina non ci sarebbero tensioni e le forniture non sarebbero interrotte, dall’altro se l’Europa non avesse fatto nulla sarebbe diventata un’Europa completamente diversa. Inoltre la Russia ha bisogno di tenere l’Europa alle strette. Credo sia utile osservare i dati dell’anno scorso: da luglio 2021, proprio mentre l’Europa aveva bisogno di più gas per via della ripresa economica post Covid, la Russia ha iniziato a tagliare e i nostri prezzi si sono quintuplicati già nel dicembre scorso.

Oggi?

Siamo in una situazione peggiore, nel senso che i prezzi sono più che decuplicati. Quindi sicuramente la Russia reagisce alle nostre azioni, ma noi abbiamo performato bene e ricordiamoci che sette mesi prima dell’invasione il calo delle forniture era già in atto ed era chiara la strategia a monte: metterci con le spalle al muro. Quindi, certamente c’è una responsabilità di Mosca che poi è stata amplificata.

Però noi leggiamo oggi che gli stoccaggi italiani superano l’80%: dunque siamo al sicuro in vista del prossimo inverno?

In realtà no. Anche arrivassimo al 90% il prossimo ottobre, avremmo copertura per il 20% dei nostri consumi: sono tanti, ma non sono tutto. Abbiamo bisogno di gas che continui ad arrivare anche durante l’inverno. Se in inverno, di contro, ci sarà un crollo totale o quasi totale delle forniture russe è probabile che l’Italia sarà costretta a ridurre i suoi consumi del 10 o del 15%.

Da cosa dipenderà?

Anche da come andrà l’inverno, se relativamente caldo o rigido. La situazione non è drammatica pur se complessa: anche le famiglie italiane e le imprese, di fronte a bollette che aumentano, faranno di tutto per ridurre il proprio consumo. Ovvero, possiamo metterci un maglione in più, possiamo ridurre la temperatura nei palazzi pubblici ma più di questo non si può fare. Diverso il discorso per l’industria.

Ovvero?

Già adesso il settore fatica ad approvvigionarsi con questi prezzi, in parte è stato anche costretto a chiudere: un razionamento nell’industria significherebbe meno produzione in automatico. Il risultato sarebbe un un maggiore rischio, oltre ad un rallentamento economico per l’Italia. Purtroppo senza forniture russe, anche nel medio periodo, sarebbe dura.

Mario Draghi ha detto che ce la faremo al 2024: ottimista?

No, è abbastanza realistico. Il punto è che avremo prezzi ancora alti, quindi dobbiamo prepararci a un’alternativa sempre più netta a cui i nostri governi dovranno costantemente guardare. Questo è il nostro orizzonte, direi due anni e mezzo.

È possibile smarcarsi dalla Russia?

Assolutamente.

È stato un errore ritardare il gasdotto Esastmed in questo senso? Ieri l’Eni ha annunciato una nuova scoperta a Cipro, dopo Zohr.

Lì ci sono due problemi. Il primo è il problema politico presente a Cipro: non è che nessuno vuole Eastmed, semplicemente Erdogan non lo vuole. Quindi, ritardando le esplorazioni e mettendo il bastone tra le ruote, si evita di portare veramente a compimento il progetto. E poi sicuramente gli investitori hanno paura.

Di cosa?

Di un progetto che potrebbe essere bloccato dalle tensioni, quindi non è così semplice la questione. In secondo luogo il gasdotto al momento non è un progetto economicamente sostenibile. Torniamo per un momento al gas russo: lo compriamo perché costa poco ed è il più vicino all’Europa. Allo stesso tempo, con realismo, non dimentichiamo che la Russia era il nostro fornitore per il 40%. Tra i tre combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) sicuramente il gas è quello che ci serve di più. Mi chiedo cosa accadrebbe agli investitori di Eastmed in caso di reazioni geopolitiche a Cipro, Russia e Turchia. Se qualcuno ne bloccasse i lavori quanti miliardi si perderebbero?

Quale l’alternativa?

Una sorta di mini Eastmed che rientri nella rete energetica turca: quello, probabilmente costando meno, sarebbe stato fattibile, ma avrebbe portato volumi minori. In sintesi, Eastmed è un progetto di difficile realizzazione.

Aumentano le pressioni sul Nord Stream 2, viste le previsioni sui danni per l’industria tedesca: c’è il rischio che si possa tornare indietro?

La Russia continua a giocare di strategia. A meno che i tedeschi non facciano un errore, per me è problematico il fatto che Mosca continui a dare la colpa di ciò alla chiusura del Nord Stream 2, mentre tutti sappiamo che è una stupidaggine. I flussi maggiori verso la Germania possono arrivare benissimo anche attraversando la Polonia o l’Ucraina. Al momento il gasdotto polacco è utilizzato allo 0%, cioè è chiuso. Il gasdotto ucraino è utilizzato al 10%. È stata una decisione della Russia per cui non c’è bisogno del Nord Stream. Tutti sanno benissimo che la Russia ha ridotto le forniture non solo al Nord Stream 1, ma a tutti gli altri gasdotti. Quindi è una sciocchezza proporre di riaprire la bretella due.

@FDepalo

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