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Meloni, il merito e le nomine. La proposta di Tivelli

La questione del merito si pone anche nella sua valutazione per le nomine ai vertici degli enti pubblici. Se la prima presidente del Consiglio donna dell’Italia dichiara di credere nel valore del merito, questo va dimostrato non solo negli orientamenti e nelle direttive ma anche nel cambiamento dei modelli normativi e organizzativi

Giorgia Meloni anche nel corso degli ultimi giorni e settimane ha impugnato più volte la bandiera del “merito”, una parola e un concetto che tra gli altri aspetti viene aggiunto alla qualifica del ministero della Pubblica istruzione.

È chiaro a molti quanto siano importanti e vitali per il nostro sistema, specie pubblico, dosi di meritocrazia. Così come andrebbe considerato che la meritocrazia è sorella gemella della concorrenza che può operare e diffondersi meglio in sistemi in cui vige una vera concorrenza.

Non so quanto il fattore del merito è stato tenuto presente nella formazione del governo, ma è ovvio che in un governo politico intervengano ai fini della formazione anche altri fattori per molti versi poco compatibili con quello del merito. In questo momento, i vari ministri stanno formando i loro staff, hanno scelto o stanno scegliendo i loro capi di gabinetto o i capi degli uffici legislativi, anche in questo caso non so quanto sarà prevalente il fattore del merito.

Si pone poi la questione del merito e della sua valutazione anche nelle nomine ai vertici degli enti pubblici. Se la prima presidente del Consiglio donna dell’Italia dichiara di credere nel valore del merito, questo va dimostrato non solo negli orientamenti e nelle direttive ma anche nel cambiamento dei modelli normativi e organizzativi. Cito solo un aspetto per tutti. La legge 14 del 1978 ha introdotto il parere parlamentare per le nomine degli enti pubblici. Nella larga parte dei casi avviene però non solo che questo parere è espresso nelle commissioni parlamentari da chi rappresenta la maggioranza di governo, ma anche che l’espressione del parere avvenga, a differenza ad esempio di quanto si verifica nel congresso Usa, al di fuori di ogni audizione dell’interessato, dei suoi orientamenti, del confronto sul suo curriculum, delle sue linee di indirizzo.

Introdurre anche nel nostro Paese, oltre che il parere in sé e per sé, la possibilità di audizioni, di quelle che negli Usa si chiamano hearing, dei soggetti interessati, per un verso consentirebbe oltre che al Parlamento e alle singole commissioni interessate di esprimere un parere più motivato e più documentato, per altro verso indurrebbe lo stesso governo non solo a maggior attenzione, ma per l’appunto a una selezione tendenzialmente più su basi meritocratiche del soggetto preposto ai vertici di questo o quell’ente pubblico, alla luce dell’esigenza che possa superare un test quale quello di un vero esame parlamentare.

Si tratterebbe di un segnale credo più efficace di quello di aggiungere la parola merito alla dizione ufficiale di un ministero, e modificare in questo senso la legge 14 sulle nomine negli enti pubblici evidenzierebbe una forma più concreta di iniezione del principio della meritocrazia nella selezione di una parte della classe dirigente pubblica e del deep State. Una variabile spesso non tenuta presente e non molto diffusa in quello che negli Usa viene definito il deep State. In questo concetto di insieme si ritrovano oltre che gli staff governativi, la dirigenza della Pubblica amministrazione, i responsabili delle imprese pubbliche e varie altre categorie di soggetti. Un mondo in cui soprattutto il Pd nell’ultimo decennio ha diffuso i suoi tentacoli in cui si ritrovano anche tante figure che risultano o appaiono tecniche ma che in qualche modo sono state e sono vicine al Pd. Credo che Meloni, il nuovo governo e la nuova maggioranza da lei guidati vorranno giustamente insediarsi, liberando molte caselle sin qui in quel modo occupate.

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