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Il voto di dicembre su Orbán sarà un test per Meloni, spiega il prof. Forti

Il Consiglio europeo che dovrà decidere sui fondi all’Ungheria potrebbe essere “un banco di prova cruciale” per la leader di Fratelli d’Italia e l’asse dell’ultradestra, dice il docente di Storia contemporanea all’Università autonoma di Barcellona. Sul discorso a Vox: “Ha cambiato i toni, ma non i contenuti”

Il Consiglio europeo di dicembre che dovrebbe essere chiamato a votare sui fondi all’Ungheria potrebbe essere “un banco di prova cruciale” per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio in pectore, e l’asse della destra sovranista in Europa. A spiegarlo a Formiche.net è Steven Forti, professore di Storia contemporanea all’Università autonoma di Barcellona e autore di “Extrema derecha 2.0. Qué es y cómo combatirla” (Siglo XXI De España Editores, 2021).

Forti invita a distinguere i rapporti tra formazioni politiche e le relazioni tra governi. “I Conservatori e riformisti presieduti da Meloni e Identità e democrazia di Matteo Salvini e Marine Le Pen sono spaccati su una questione in particolare: la geopolitica, ossia il rapporto con la Russia. Questo spiega l’avvicinamento del premier ungherese Viktor Orbán più a Salvini e Le Pen che a Meloni”, spiega. Tuttavia, “al di là delle famiglie al Parlamento europeo è chiara l’esistenza di reti transnazionali dell’ultradestra, ultranazionalista e ultraconservatrice, che vanno dal continente euroasiatico fino al Nord e al Sud America”. Ma, continua Forti”, “non c’è una struttura come l’Internazionale comunista, anche perché a un certo punto i sovranismi si scontrano. E qui arriviamo alle relazioni tra i governi: basti pensare alle tensioni sul Brennero tra il governo gialloverde di Giuseppe Conte e l’Austria di Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache.

Durante il suo discorso alla piazza di Vox riunita dal leader Santiago Abascal, Meloni ha invocato “l’Europa dei patrioti”. “Non stupisce, visto il pubblico a cui si rivolgeva”, commenta Forti. “Rispetto al suo discorso di giugno, ha cambiato il tono ma non ha modificato i temi. Lei stessa in passato ha raccontato di alzare i toni quando è stanca. Ma non ha mai cambiato i contenuti”, osserva il professore. All’evento dello scorso fine settimana, la sua prima uscita pubblica dopo la vittoria delle elezioni a parte l’evento Coldiretti, “ha voluto mostrare un profilo più istituzionale anche con le immagini: l’ufficio, la bandiera italiana, il vestito elegante. Ha abbandonato i toni barricaderos. Il tutto con pragmatismo, senza modificare la sua proposta che è europeista ma con un’Unione europea diversa, una confederazione di Stati”.

Guardando all’attenzione posta dall’amministrazione statunitense dal presidente dem Joe Biden è interessante analizzare i rapporti tra l’ultradestra europea, che spesso si rifà all’ex presidente repubblica Donald Trump, e gli Stati Uniti. “Il trait d’union tra Vox, un partito che fa appello al franchismo sociologico ma nasce da una costola dei popolari, e il mondo repubblicano statunitense”, spiega Forti, “è Rafael Bardajì, che in passato ha lavorato nei governi di José María Aznar ed è stato responsabile della fondazione Faes, legata all’ex premier. È l’uomo della foto delle Azzorre tra Aznar e George W. Bush, quando fu decisa l’invasione dell’Iraq”. È merito suo la presenza di Vox al Cpac del 2019 nonostante i poco entusiasmanti risultati elettorali precedenti. “A differenza dell’Italia, la destra spagnolo è sempre stata filo-americana”, conclude Forti evidenziando l’origine di Vox da una scissione del Partito popolare.

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