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Chi contagia le piazze con il virus russo vuole riportarci agli anni ’70?

Si scorge un tragico fil rouge tra disagio da crisi economica, che può sfociare in manifestazioni di piazza non necessariamente pacifiche, e l’infiltrazione di soggetti/movimenti filo-russi pronti ad alimentare la radicalizzazione politica

(Immagine tratta dal profilo Twitter di Leonardo Filippi

Ha scritto Sant’Agostino che o è il male ciò di cui abbiamo paura, o il male è che abbiamo paura. Una contingenza reale, come la crisi energetica/economica, sta di nuovo modificando socialmente le percezioni e le risposte di moltissime fasce sociali del paese, come se l’Italia e per certi versi l’Europa fossero vicine ad un tragico ritorno al passato che odora di Guerra Fredda e muri ideali.

Sta prendendo piede, progressivamente, un’oggettiva convergenza fra la preoccupazione di un disagio crescente nel Paese che può sfociare in manifestazioni di piazza non necessariamente pacifiche e l’infiltrazione di soggetti e movimenti filo-russi pronti ad alimentare la radicalizzazione politica?

Lo striscione con l’invocazione per Gazprom e “Yankee go home” apparso nella piazza romana della Cgil la dice lunga sullo stato dell’arte e non porta in grembo proprio nulla di buono. E’ come se ci fosse un bieco tentativo di riportare il paese alle tensioni degli anni ’70. Solo che stavolta il male non è il capitalismo tout-court – visto che si abbraccia quello praticato dal gigante degli idrocarburi, che sfrutta risorse naturali per finanziare il regime russo – ma solo quello occidentale, quasi a voler depennare dalla lista della spesa il trentennio di pax sociale che si è disteso fino a ieri.

Nel mezzo c’è stata la gestione della globalizzazione, gli eventi geopolitici che hanno influenzato lo sviluppo (non solo) in Italia, ma anche la debole risposta della struttura-paese italiana rispetto ai grandi curvoni della storia: situazioni che sono gli occhi di tutti, ma che in nessuno modo giustificano questo back to the past che non produce frutti positivi per nessuno.

Ma da quei pezzetti tossici di piazza arriva anche un altro messaggio per il governo di domani che dovrebbe vedere la luce entro la fine del mese. Che cosa potrebbe rischiare il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni se solo si ipotizzasse di rinsaldare un asse putiniano che in quella piazza si è manifestato? Il riferimento è a un fil rouge fra M5S, Pd (o almeno una sua parte, non irrilevante), Lega e Forza Italia. Quel virus russo in certe frange della politica italiana aveva già registrato un certo appeal con Mario Draghi premier, quando le indicazioni di Chigi sull’invio di armi e sulla postura pro Ucraina erano state contestate da quegli stessi partiti.

In un’intervista su Avvenire di fine agosto il capo del M5S, Giuseppe Conte, aveva osservato “le parole pace, negoziato, diplomazia sono sparite dal dibattito pubblico, mi chiedo: ci siamo rassegnati all’ineluttabilità della guerra? Quando il M5s ha posto obiezioni, metteva in guardia proprio da questo: guerra chiama guerra, vorrei fosse una posizione condivisa con forza da tanti. Una politica al passo con i tempi aprirebbe oggi un dibattito sulla necessaria fine della corsa agli armamenti, non solo in Ucraina”.

E’ di tutta evidenza che il disagio sociale urlato da piazze, famiglie, imprese sia una voce da ascoltare con estrema attenzione, e la politica commetterebbe un (altro) grosso errore a far finta di nulla o, peggio, a sfruttare quelle corde vocali estremizzate per un mero ritorno egoistico.

Ma è altrettanto utile in questa fase (e lo sarà strategicamente nei prossimi mesi) evitare che qualcuno sia tentato dal soffiare intenzionalmente su quelle difficoltà, per ottenere niente altro che una grande destabilizzazione che sa molto di Prima Repubblica, quando per le strade c’erano molte sirene (e anche molte anime “anti”).

@FDepalo

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