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Il Regno Unito dopo Liz Truss, tra ortodossia economica e nuovi paradigmi

Di Gianclaudio Torlizzi

Secondo la narrativa, a innescare la crisi sarebbe stata la presentazione da parte del governo di un piano fortemente espansivo a livello fiscale. Un’interpretazione un po’ semplicistica. L’analisi di Gianclaudio Torlizzi, autore ed esperto del mercato delle materie prime

Le dimissioni della premier britannica Liz Truss dopo appena 45 giorni dall’inizio del mandato – il più breve di sempre nella storia del Regno Unito – hanno sancito la riaffermazione del controllo dei Bond Vigilantes, ossia dei grandi gestori obbligazionari, sull’agenda politica britannica.

Le pressioni finanziarie legate al forte innalzamento dei titoli di stato britannici accompagnati al crollo della sterlina erano arrivate al punto da rendere non più sostenibile la permanenza di Truss a Downing Street.

Secondo la narrativa, a innescare la crisi sarebbe stata la presentazione da parte del governo di un piano fortemente espansivo a livello fiscale che per essere finanziato avrebbe necessitato di un imprevisto aumento di emissioni obbligazionarie e dunque dei tassi di interesse chiesti dal governo britannico al mercato con effetti destabilizzanti sui fondi pensione Uk. Un’interpretazione un po’ semplicistica.

Se infatti si analizza con precisione l’andamento dei Gilt (mercato bond) nel corso della crisi finanziaria che ha investito il Regno Unito si noterà come il balzo dei tassi di interesse del titolo a 30 anni al 5% sia giunto prima l’annuncio del piano fiscale da parte del governo e dopo la decisione della Bank of England di alzare i tassi di interesse di 50 punti base (anziché 75 come previsto) e soprattutto dopo la conferma del Quantitative Tightening (Qt) ossia del piano di ritiro della liquidità.

Il tentativo del Regno Unito dunque di rompere il paradigma finanziario vigente negli ultimi 40 anni contraddistinto dal mix politica monetaria espansiva+austerity fiscale (Davos Consensus) non è dunque andato a buon fine. E dire che la Storia ha dimostrato come proprio Londra così come Tokyo negli anni 30 del secolo scorso erano riuscite a uscire con maggiore velocità dalla Depressione proprio per aver deciso di abbandonare il Gold Standard in anticipo rispetto agli Stati Uniti e Francia.

In sostanza quello che si vuole evidenziare è che se da un lato continuare ad aderire all’ortodossia economica può essere dannoso dall’altro rompere quegli schemi non è certamente impresa facile. E proprio oggi come allora non solo Uk ma anche il Giappone hanno provato a essere i primi a uscire dal vecchio paradigma. Insomma è lecito ipotizzare come la causa primaria della crisi in Gran Bretagna sia stata il generale ritiro della liquidità (Qt) più o meno adottato dalle banche centrali di tutto il mondo.

La stessa Bce mantiene una certa cautela nell’intraprendere il Qt. La preoccupazione dell’Eurotower in particolare è che se adottasse un approccio di politica monetaria restrittivo potrebbe aprire a un ulteriore ampliamento degli spread nell’Eurozona. Non è un caso se la Svizzera stia beneficiando di swap line provviste dalla Fed per allentare il liquidity crunch.

La domanda che gli operatori si stanno ponendo dunque oggi è se quanto avvenuto negli Unito possa rappresentare una sorta di ‘avvertimento’ del mercato alla banca centrale Usa che sembra procedere indefessa lungo il percorso di ritiro della liquidità al punto che le riserve monetarie detenute dalla Fed sono scese nell’ultimo anno dal 18% al 12% del Pil Usa.

La stessa Federal Reserve infatti si ritrova a gestire un crescente apprezzamento dei rendimenti del decennale balzato sui livelli massimi del 2007 causato dall’aumento delle pressioni inflazionistiche e delle previste emissioni obbligazionarie. Tanto per dare un’idea l’emissione netta obbligazionaria da parte del G4 è passata da $1,9 mila miliardi nel 2021 a quasi $2 mila mld nel 2023 di cui quasi $1 mille mld negli Usa.

Insomma, al pari della Gran Bretagna, anche gli Usa sono oramai da tempo impegnati nell’adozione di politiche fiscale particolarmente espansive che però non hanno preoccupato finora il mercato grazie anche allo status del dollaro.

Tuttavia, proprio come in Uk, preoccupanti segnali stanno giungendo dal mercato immobiliare americano i cui prezzi sono scesi a settembre per la prima volta dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007/2008 in linea con la forte discesa delle richieste di nuovi mutui a loro volta determinati dal forte innalzamento dei tassi di interesse a 30 anni.

Insomma, il rischio in base ai quali il mercato possa tentare di forzare la mano alle banche centrali, in particolare quella Usa, al fine di costringerla ad allentare il processo di ritiro di liquidità sul mercato non può essere escluso. Il paradosso è dato dal fatto che a spingere la Fed a sospendere il Qt potrebbe giungere la débâcle del mercato immobiliare la cui bolla è stata proprio alimentata dalla politica monetaria super-espansiva intrapresa negli ultimi 20 anni.

Un corto circuito bell’e buono che renderà inutile la vittoria dell’establishment finanziario. La strutturalità dei processi inflazionistici derivanti dalla transizione energetica e dal decoupling tra l’Occidente e il blocco dell’est (Russia e Cina) indurranno infatti la banca centrale Usa a riprendere successivamente il percorso di restringimento monetario che sarà probabilmente contraddistinto da una formula più articolata rispetto al passato ossia: rialzo tassi + acquisti di debito sovrano sul mercato primario (Mmt).

Un mix questo che potrebbe sembrare contraddittorio ma che in realtà risponde a due istanze: da un lato debellare le spinte inflazionistiche e dall’altro garantire ai governi quella copertura finanziaria necessaria a intraprendere gli investimenti necessari per completare l’affrancamento energetico e dalla logistica cinese.

Per concludere, lo scenario che si sta delineando comporterà enormi trasformazioni nell’arco dei prossimi 5 anni nei confronti delle quali l’Europa dovrà farsi trovare preparata e quindi disposta a cambiare drasticamente l’approccio di politica economica lontano dall’austerity che l’ha fin qui caratterizzata.

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