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Arrivano dall’Italia i primi aiuti Ue in Siria

L’Italia è il primo Paese europeo a inviare aiuti umanitari ai terremotati siriani. Migliaia di persone soffrono nel nord-est del Paese, con il regime assadista che (come da prassi) complica l’arrivo delle assistenze ai civili che vivono nelle aree controllate dai ribelli

Nel pomeriggio di sabato 11 febbraio, è atterrato a Beirut un carico di aiuti umanitari italiani destinati alle aree siriane colpite dal devastante terremoto che pochi giorni fa ha scaricato la sua potenza lungo la faglia Est Anatolica, producendo quasi 30mila vittime finora accertate. L’Italia diventa così il primo Paese dell’Unione Europea a inviare aiuti in Siria.

Il carico di 30 tonnellate comprende quattro ambulanze e 13 pallet di attrezzature mediche, diretti nelle città di Lattakia, Aleppo, Hama e Tartous attraverso la distribuzione organizzata dalla Mezzaluna rossa sirians (Sarc). Tutto il meteriale è stato messo a disposizione dal Gruppo San Donato. L’operazione è stata organizzata dai ministeri di Esteri e Difesa in Italia: i due C-130 dell’Aeronautica (probabilmente della 46esima Brigata Aerea) sono decollati da Pisa e atterrati a Beirut perché non è stato possibile usare lo scalo di Aleppo.

Sul posto le operazioni sono state dirette dall’incaricato d’affari per la Siria, il diplomatico Massimiliano D’Antuono. Nei prossimi giorni, con le stesse modalità, è previsto l’arrivo anche di un’équipe di quattro medici. Roma, attraverso un dossier gestito dalla Farnesina, ha richiesto di organizzare il trasporto del materiale alla Srac dopo l’attivazione del Meccanismo europeo di protezione civile per sostenere la popolazione siriana che — insieme a quella turca — è in condizione di forte sofferenza.

Una popolazione quella siriana che subisce una situazione socio-economica deleteria, dato che tra le città colpite ci sono i luoghi in cui il regime assadista — e i partner russi e iraniani — hanno sfogato la loro violenza contro i ribelli. La guerra civile dura da dodici anni, se si considera che ancora il rais Bashar El Assad non controlla diverse parti del territorio siriano — sebbene ora i combattimenti siano rallentati e la capacità amministrativa di Assad si è allargata.

Vale la pena ricordare che già prima del terremoto, circa due terzi delle infrastrutture di base dell’area — edifici pubblici, acqua e servizi igienici, ospedali e cliniche mediche, strade e produzione di energia — erano già distrutte o danneggiate. Le 4,5 milioni di persone che vi abitano non avrebbero potuto essere più vulnerabili. Eppure solo sei camion di generi di prima necessità — pronti per essere inviati dall’Onu già prima del sisma — sono arrivati nei giorni iniziali della tragedia per via delle complicatissime condizioni locali.

L’invio di aiuti al regime siriano è stato dibattuto sia nei termini dell’opportunità politica sia nella pratica tecnica, dato che tutto il sistema amministrativo assadista è sotto pesanti sanzioni internazionali. L’ottica all’interno di cui si è mossa l’Italia è invece stata messa in chiaro dalla Farnesina, che ha parlato della “necessità rispondere alla tragedia evitando di politicizzare gli aiuti”.

L’inviato speciale Ue per la Siria, Dan Stoenescu, nel ringraziare l’Italia ha detto in un tweet che dopo questa prima operazione “arriveranno altri aiuti europei per tutte le regioni della Siria”. Probabilmente si sottintende che forme di assistenza sono previste anche per le aree occupate dai ribelli, come la bolla di Idlib (nel nord, pesantemente colpita dal sisma).

La gestione dell’assistenza organizzata dal regime mira a evitare invii diretti da terzi nelle zone sotto il controllo dei ribelli, ma Damasco sta cercando di collaborare spiegano fonti diplomatiche a Formiche.net. È una precisazione importante, perché in passato, durante le fasi più buie della guerra, carichi di aiuti umanitari onusiani sono stati deviati favorendo le aree controllate. È una prassi ultra nota, con cui Assad ha gestito buona parte del conflitto con lo scopo di complicare le condizioni di vita dei ribelli e contemporaneamente soddisfare le necessità dei cittadini delle zone controllate (necessità che da solo non era in grado di soddisfare).

Ora, davanti alla tragedia naturale, il governo assadista sembra però pronto a di dimostrarsi più collaborativa. Damasco sta cercando di usare la situazione per richiedere il sollevamento delle sanzioni americane ed europee. Assad sta provando a sfruttare il dramma per aumentare il proprio standing internazionale. Sotto quest’ottica, anche l’assistenza in quelle aree è una dimostrazione di maggiore affidabilità. E poi Paesi come quelli del Golfo, che hanno inviato assistenza, hanno messo le cose in chiaro su certe dinamiche.

Dall’altra parte, sono gli stessi ribelli che stanno complicando l’arrivo cross-line dei soccorsi. Anche in questo caso, l‘obiettivo è quello narrativo: alcuni dei gruppi che controllano le aree ribelli sotto il Salvation Government, e soprattutto Hayat Tahrir al-Sham (il gruppo più forte nell’area), hanno organizzato operazioni di soccorso e intendono sostituirsi anche in questo al governo centrale. Calcare sulla narrazione anti-assadista, sfruttando la situazione, diventa quasi tristemente naturale.

Come spesso avviene in queste situazioni, gli aiuti sono stati dunque oggetto di guerra informativa. Russia e Iran, i grandi protettori di Assad, hanno sfruttato la situazione e criticato Ue e Usa per non aver risposto rapidamente alle necessità siriane (concentrandosi solo sull’alleato turco). È una retorica perfettamente in linea con lo scontro tra modelli e con un attacco all’Occidente che chi osserva la guerra in Siria ha visto crescere e allegarsi da lì nel corso degli anni. Mosca e Teheran vogliono dimostrare di essere più rapidi ed efficaci nella governance di certe dinamiche internazionali rispetto alle Democrazie — appesantite da procedure e ideologismi. Sia i russi che gli iraniani sono molto abili e influenti nelle attività di infowar sulla Siria.

Tuttavia, tutti i meccanismi sanzionatori prevedono deroghe per proteggere la fornitura di aiuti e, soprattutto, va sottolineato che il 91% degli aiuti che passano per Damasco sono finanziati dalle stesse quattro entità sanzionatorie: Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea e Canada. Inoltre per facilitare l’invio di aiuti umanitari alla Siria, gli Stati Uniti hanno sospeso per sei mesi una misura di controllo delle transazioni. Nei cinque giorni successivi al terremoto, il regime di Assad ha ricevuto aiuti umanitari e assistenza in caso di calamità da 16 governi stranieri. Attività libere dalle misure sanzionatorie secondarie.

Sabato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, è atterrato all’aeroporto di Aleppo con 35 tonnellate di forniture mediche (altrettante ne arriveranno nei prossimi giorni). Finora l’Oms ha fornito aiuto solo alle zone sotto il controllo assadista. Tuttavia ha promesso assistenza anche nelle aree sotto l’opposizione.

Nel 2022 il 99,6% degli aiuti che hanno raggiunto il nord-ovest della Siria è passato attraverso l’unico valico di frontiera con la Turchia, mentre solo lo 0,4% è passato da Damasco. Sempre sabato un convoglio con aiuti umanitari delle Nazioni Unite è arrivato nelle zone dell’opposizione, nel Nord-Ovest della Siria, attraverso quel valico turco-siriano.

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