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Passate le Regionali, ora si pensi alle priorità del Paese. Scrive Tivelli

È ora il momento di mettere un po’ di ordine, nonostante i gravi tormentoni in atto sull’agenda di governo, sulle priorità e sui rischi che corrono l’economia e la società italiana. Il commento di Luigi Tivelli

La politica italiana vive molto, oltre che di ripetuto assiduo e sprecante cicaleccio, di tormentoni. È finito da poco il tormentone sul destino dell’anarchico Cospito e gli aspetti politici e giudiziari collegati. In questi giorni si sono accumulati forse più tormentoni che mai insieme. Il tormentone sulla politica estera ed europea in corso nei giorni scorsi, nutrito anziché dal derby Italia-Francia non è ancora sedato, e poi si è allargato a quello avviato dalla nuova dichiarazione per certi versi para filo-putiniana di Silvio Berlusconi. Pesa poi non poco il tormentone aperto sul caso Sanremo e vari aspetti collegati.

Si tratta di un tormentone che durerà perché Fratelli d’Italia, e per qualche verso anche la Lega, hanno colto quel po’ di palle scivolate sul palco dell’Ariston al balzo per accelerare il ricambio di vertici, quasi vertici, e postazioni-chiave in Rai. E quando si scoperchia quella sorta di vaso di Pandora che è la Rai ovviamente il tormentone si allunga e si amplifica.

Si è aperto poi ovviamente un tormentone sulla analisi dei risultati elettorali, pur in larga parte preannunciati, con l’ulteriore consolidamento del peso di Fratelli d’Italia nei voti.

Mi pare però che la questione più seria emersa dalle urne sia quella dell’aggravarsi del fenomeno dell’astensione, con decisamente meno del 40% dei votanti nella media delle due regioni chiamate al voto.

Certo, mi sembra un po’ preoccupante che in un Paese in cui si supera la soglia del 60% di share per Sanremo, molto più bassa (anche se la comparazione è tra fenomeni diversi) sia la soglia dei partecipanti al voto, e su questo sono suonati e suoneranno non pochi campanelli d’allarme, ci sono state e ci saranno varie analisi più o meno fondate.

A me pare che dietro l’allontanamento dei cittadini dal voto ci sia per un verso una certa disaffezione ad organismi come le regioni (che pur si vogliono mettere al centro di strane operazioni come quella dell’autonomia differenziata), per altro verso un diffuso rifiuto dei cittadini verso il modo di far politica in atto e verso l’offerta troppo liquida, ben poco affidabile, spesso lontana dai veri problemi del Paese, che proviene da molti partiti. A ciò contribuisce anche quella sorta di confusione che si è creata nell’agenda politica in atto, già di per sé poco chiara e condita da continui scossoni e tormentoni. Certo, magari si lanciano nuovi “idola fori” come quello del semi-presidenzialismo, che non si sa se e come potrebbero essere raggiungibili, per altro verso trovano una cattiva, scarsa o nulla collocazione, anche nell’agenda di governo, i veri problemi del Paese.

Ne indico solo alcuni, riservandomi magari di svilupparne una parte in successivi articoli.

C’è la questione dell’effettiva attuazione del Pnrr, di che fine fanno quei circa 200 miliardi concessi all’Italia in forma di prestiti o contributi diretti, ma sotto l’occhiuto controllo dell’Unione europea, visto che siamo il Paese maggiore beneficiario. Riusciranno organismi in molti casi non dotati di adeguate strutture di progettazione come regioni e comuni a mettere davvero a terra i progetti?

Come è noto, c’è poi la questione dei costi aggravata dall’aumento dei prezzi di tante materie prime. Ma ancora più grave è la questione di cosa realmente sarà di quel 40% di contributi che dovrebbe essere destinato al Mezzogiorno, là dove regioni, comuni e altri soggetti hanno strutture di progettazione ancora più scadenti.

Che poi è una questione di cui troppo poco si parla: la discrasia sempre più grave tra domanda e offerta di lavoro. L’aumento progressivo delle offerte di lavoro che non trovano soddisfazione sono cruciali, connesse poi con quella della sempre più necessaria formazione e riconversione dei potenziali lavoratori in presenza di organismi e strutture di formazione, in larga parte regionali, molto spesso non adeguate, al Mezzogiorno ancora di più che non al centro nord. Non parliamo poi del disastro dei centri pubblici per l’impiego, che dipendono dalle regioni per il cui rilancio non basteranno certo gli stanziamenti previsti dal Pnrr. In questo quadro, nessuno parla dell’unico approccio serio a queste questioni: vere politiche attive del lavoro, che da tempo sono una sorta di milite ignoto.

Né basta a sistemare l’agenda quella sorta di “rinviocrazia ” che emerge col consueto Milleproroghe di ogni anno, che quest’anno ha colpito ovviamente tra gli altri aspetti, come la questione della pur cauta messa a gara (derivante da un preciso vincolo europeo rafforzato dall’assistenza del Consiglio di Stato) delle concessioni per i balneari, cui tanto attenti sono Fratelli d’Italia e la Lega.

Come conclusione provvisoria, quasi nessuno coglie una questione economico-sociale molto semplice che riguarda i due mali, il mal di concorrenza e il mal di crescita di cui è affetto da almeno 25 anni il Paese, che non per poca parte deriva proprio dal mal di concorrenza. Ma guarda caso sembra che le uniche questioni che non riguardano la concorrenza che interessano alle forze politiche dell’attuale maggioranza ma non solo ad esse) sono ad oggi i balneari mentre ieri erano i taxisti.

Forse è il caso di mettere un po’ di ordine, nonostante i gravi tormentoni in atto sull’agenda di governo, sulle priorità e sui rischi che corrono l’economia e la società italiana. Probabilmente più o meno consapevolmente più presenti ai cittadini (che reagiscono con l’assenza dalle urne) che a parti significative della classe politica.

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