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L’Italia non sia più una Repubblica fondata sul rinvio. La versione di Tivelli

Perché ciò avvenga occorre però che si ritrovi finalmente in seno alla classe politica e di governo quel senso della memoria storica in larga parte smarrito senza il quale non si può né condurre bene il presente, né tantomeno progettare adeguatamente il futuro

“L’Italia è una Repubblica fondata sulla deroga”, sosteneva Paolo Ungari, già consigliere parlamentare e professore ordinario di Storia del diritto italiano. Un concetto vero tutt’oggi perché la nostra legislazione è una sorta di fiera di deroghe, ma purtroppo – ciò che forse è più grave – l’Italia degli ultimi decenni è una Repubblica fondata sul “rinvio”.

Siamo l’unico Paese europeo (e forse anche al mondo) in cui regolarmente da tantissimi anni, a cavallo tra la fine dell’anno e la prima parte dell’anno nuovo, come in questi giorni, viaggia dal Senato alla Camera un decreto “milleproroghe”. Una sorta di salsicciotto, in uso in quelle aree del Paese in cui si usano tutti i resti del maiale, viene regolarmente messo un po’ di tutto. Non poteva, ovviamente, mancare la proroga a beneficio dei balneari, amatissimi dalla nostra classe politico-parlamentare, a destra ancora più che a sinistra, in dispregio di tutte le regole europee (con le conseguenti penalizzazioni) e questa volta anche di una sentenza del Consiglio di Stato.

Ma non è questa la sede in cui fare l’elenco (che fra l’altro sarebbe troppo lungo…) di tutte le proroghe dell’ennesimo decreto milleproroghe in viaggio nel nostro Parlamento, ma di cogliere invece un dato sulla sempre maggiore diffusione, da molti anni a questa parte, di una sorta di “etica del rinvio” della nostra classe politica e parlamentare e non poco nelle varie classi di governo che si sono succedute.

Abbiamo fondato l’Academy Spadolini, che presiedo, anche per recuperare quel senso della memoria storica in larga parte smarrito dalla classe politica (e purtroppo in genere, in questo Paese), e vale la pena a questo proposito recuperare la memoria storica anche in contrasto con quella sorta di “rinviocrazia” che da troppi anni domina la vita politico parlamentare, con conseguenti gravi danni per lo sviluppo del paese e per i diritti (e i doveri) dei cittadini e degli operatori. Se solo si fa il punto su quante possibili soluzioni, di gravi problemi, che sono state man mano rinviate negli ultimi decenni, sembra di stare in una di quelle vecchie case di nobili decaduti in cui non solo la polvere, ma anche la “ciccia”, viene man mano spazzata sotto il tappeto senza che nessuno provveda a cucinare qualche pietanza opportuna rispetto ai gravi problemi da tempo in atto.

Mi piacerebbe chiamarla “rinviocrazia”, ma non so se tutti i lettori capiscono il concetto. Diciamo che governare per rinviare e rinviare per governare, in un quadro in cui domina in qualche modo il “governo del non rinvio”. Si tratta di una abitudine che risale a molto tempo fa, basti pensare alla splendida “Intervista sul non Governo” ad Alberto Ronchey (Laterza), nei primi anni settanta. Ma basti pensare anche ad un certo modo andreottiano di governare, secondo cui “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, ma non è che nella cosiddetta Seconda Repubblica e ancor più negli anni recenti le cose siano andate proprio meglio.

Vale la pena ad esempio sottolineare un aspetto cruciale in una moderna democrazia: quella che da un po’ di anni va di moda chiamare “agenda digitale”, che dovrebbe riguardare la possibilità tra un rapporto diverso tra i cittadini e gli operatori e le amministrazioni pubbliche e lo Stato. Si è vero col Pnrr si dovrebbero fare passi avanti, anche se purtroppo per come sta funzionando la messa a terra per molti aspetti non è che esso sarà la panacea in molti ambiti, compreso il digitale. Ricordo bene che di questa materia mi occupavo con intensità, pubblicai quattro libri sul tema, intorno al 2002-2003, quando non passava sotto il nome di agenda digitale, ma di “e-goverment”. Nei governi Berlusconi 2001-2006, c’era un ministro competente, anche in quanto ex presidente di IBM Europa, Lucio Stanca, e sembrava si fosse avviato tutto il possibile a livello centrale e con ottime best practice, in qualche Regione e un po’ nei Comuni, anche a livello locale. Non ho mai capito perché quel filo rosso ben avviato sia stato poi smarrito (con gravi danni per i cittadini e gli operatori) e ora stiamo ragionando di questioni che tranquillamente potevano essere risolte, in parte significativa, già vent’anni fa.

Ovviamente molti governi da allora a oggi hanno rinviato, perché in questo Paese domina l’etica del rinvio e siamo alle prese con il tentativo di risolvere questioni che potevamo risolvere venti anni fa. Potrei procedere a lungo perché sono tanti i settori e gli ambiti in cui ha prevalso l’etica del rinvio e si è diffusa la rinviocrazia e potremmo tranquillamente risalire ad anni precedenti al 2000.

Si pensi all’atavica questione dello scarsissimo utilizzo dei fondi di coesione europea. Da quanto tempo emerge man mano che, secondo i diversi blocchi temporali, è stato utilizzato solo il 20-30 o 40% dei fondi a disposizione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma si è continuato a rinviare la ricerca di una soluzione di una questione che oltretutto per certi versi ci delegittima rispetto all’Europa. Ultimo esempio la questione del lavoro. Abbiamo i centri pubblici per l’impiego praticamente più rachitici d’Europa, da moltissimi anni a questa parte. Sappiamo che intermediano man mano, non più del 3-4% della forza lavoro e che laddove c’è maggiore disoccupazione, come nel Mezzogiorno, intermediano ancora meno. Li abbiamo affidati alle Regioni, organismi che giustamente gli italiani, con il voto dei giorni scorsi, hanno dimostrato di non amare molto. Certo ora ci sono alcuni miliardi di investimento del PNRR sui centri pubblici per l’impiego, ma dopo decenni di rinvii e proroghe, finora governanti e similari non mi pare che si sono accorti che senza un vero coinvolgimento delle agenzie private per il lavoro, i centri per l’impiego non riusciranno ad assolvere minimamente alla loro missione, e a rimettere i piedi i centri pubblici dell’impiego, specie ma non solo nel Mezzogiorno, non basteranno gli stanziamenti del PNRR, perché c’è un problema di organizzazione, vero radicamento nel territorio, efficienza ed efficacia, ecc…

Certo, di tutto questo non possiamo certo attribuire la responsabilità al neopresidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma è da sperare che il suo polso duro, il suo rigore e il suo coraggio frenino non poco l’etica del rinvio e gli effetti della rinviocrazia, che però, anche alla luce dell’ultimo milleproroghe, sembrano per non pochi versi continuare. Perché ciò avvenga occorre però che si ritrovi finalmente in seno alla classe politica e di governo quel senso della memoria storica in larga parte smarrito senza il quale non si può né condurre bene il presente, né tantomeno progettare adeguatamente il futuro. Quello che avevano presidenti del Consiglio come Alcide De Gasperi o Giovanni Spadolini e che non hanno avuto e non hanno per molti o per certi versi tanti presidenti del Consiglio che si sono succeduti negli anni della Repubblica.

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