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Rappresentanza sindacale e partiti politici, una soluzione per Bonanni

Darsi criteri di sorveglianza sulla vita democratica interna ai partiti e ripristinare il finanziamento pubblico ad essi significa dotare di pilastri solidi la nostra Repubblica. Il commento di Raffaele Bonanni

Si sa, la crisi della rappresentanza in Italia diventa sempre più accentuata e viene assai manifestata dall’imbarazzante e costosa demagogia che gonfia i palloni del populismo di sinistra e di destra. Basti osservare l’afonia che si alterna ad improbabili scioperi generali delle organizzazioni del lavoro nel campo sociale, e la persistente accentuata diserzione dalle urne degli elettori nel campo politico.

Ultimamente alcuni partiti, sollecitati magari dal segretario della Cgil Landini, si stanno esercitando a formulare proposte sulla rappresentatività del sindacato in nome dei contratti cosiddetti pirata che provocherebbero dumping sociale, ma sono temi più pretestuosi che reali, in quanto basterebbe la sorveglianza Inps sui contributi che manifestano la misura della paga e qualche provvedimento più mirato al problema del ministro del Lavoro per risolvere il problema.

E comunque limitarsi al sindacato senza preoccuparsi dell’impresa, sottintende un calcolo politico inconfessabile. E comunque è bene ricordare che un “testo unico” sulla rappresentanza è stato redatto e pattuito dalle stesse parti sociali nel 2011, ribadito nel 2014. Dunque chi chiede protezione alla politica per farsi sostituire nel compito che ha, farebbe bene a sciogliere il nodo che gli tocca responsabilmente di sciogliere. E infatti se dovessero consegnare nelle mani dei partiti le regole di comportamento sindacale, si moltiplicherebbero solo i soggetti interessati alle proprie parrocchie in un ambito che invece richiede distinzione tra politica e sociale.

E poi, se Atene piange, Sparta non ride. Infatti la politica ha molti più guai del sociale e le conseguenze sono pagate gravemente dal Paese se guardiamo ad ogni indice economico, fino ad arrivare al debito pubblico che cresce a dismisura anche per “il metadone” bonus, e regalie in genere, in uso costante per attutire le asperità nel rapporto tra politica e cittadini.

Ma la sfiducia è tale che metà degli elettori non vanno più a votare. Ad esempio, nell’ultima competizione elettorale regionale, nel Lazio, pur essendo molto diverso dalla Lombardia, le urne sono state alleggerite parimenti del 60%: una debacle democratica e un campanello di allarme che secondo me alcuni ambienti politici vedono come una grande opportunità.

È l’effetto della economia che non va a ragione della instabilità politica, e per l’inesistenza di luoghi di partecipazione. Il proliferare nella Seconda repubblica di partiti personali o partiti sostanzialmente chiusi alla partecipazione, ha prodotto una distanza pericolosa tra la gente, istituzioni e politica che occorre al più presto colmare. Malumori e indifferenza nascono a causa di pratiche poco democratiche nei partiti, e rese ancora più accentuate dalla commistione di interessi privati con quelli pubblici, nel finanziamento delle campagne elettorali.

È in questo corto circuito che si rende vana la promessa dell’art. 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per correre con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. In tali condizioni la libertà del cittadino viene mutilata dalla duplice deviazione nelle formazioni politiche: da deboli o inesistenti garanzie democratiche che ostruiscono i canali della libera partecipazione ed il ricambio della dirigenza; la inesistenza di finanziamenti pubblici ai partiti, abbandonati così al controllo e sottomissione di fatto alle varie dinamiche di interessi particolari.

Per queste ragioni soprattutto le forze politiche che si alimentano e si alimenteranno di presenze culturali riformiste, popolari, liberali, dovranno al più presto aprire una discussione per seguire l’indicazione costituzionale di regolamentare il funzionamento dei partiti politici secondo il dettato costituzionale.

All’inizio della esperienza repubblicana la regolamentazione non fu fatta perché era all’epoca troppo vivo il ricordo dello Stato intento a controllare per fini antidemocratici le associazioni tutte. Ma dopo settant’anni è la Repubblica che spesso è controllata da pezzi di poteri non espressi da quella vitalità democratica che si genera dalla forza collettiva, alimentata dai cittadini che ricercano la libertà nel concorrere concretamente e responsabilmente al benessere della comunità nazionale. Per queste ragioni darsi criteri di sorveglianza sulla vita democratica interna ai partiti, e ripristinare il finanziamento pubblico, significa dotare di pilastri solidi la nostra Repubblica.

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