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Che cosa insegnano i casi di Enel e Leonardo. La lettura di Firpo (Assonime)

​Le assemblee delle due società quotate sono state movimentate e animate da una vivace dialettica tra piccoli e grandi soci. Ma c’è una lezione da imparare​. Il direttore generale di Assonime spiega quale

Sì, qualcosa nella governance delle grandi società quotate e spesso partecipato dallo Stato sta cambiando. Non che sia una cattiva notizia, anzi. Il caso di Leonardo, ma anche quello dell’Enel, dove i fondi azionisti esteri hanno sparigliato le carte e agitato la vigilia, arrivando, almeno nel secondo caso, a mettere in discussione i candidati del governo, ovvero l’azionista principale (pur senza spuntarla, alla fine), sono sintomatici.

La parola d’ordine sembra essere qualità, in relazione a chi viene chiamato dai soci ad amministrare un’azienda di caratura internazionale. E se il mercato è lo strumento, ben venga. Formiche.net ne ha parlato con chi di imprese, nella fattispecie spa, si occupa tutti i giorni, ovvero Stefano Firpo, direttore generale di Assonime dall’ottobre del 2022, dopo l’esperienza ventennale di Stefano Micossi.

“Nelle assemblee di quest’anno abbiamo visto una vivace dialettica sulla nomina degli amministratori con diverse liste presentate da compagini differenziate di investitori, accanto a quelle presentate dagli azionisti di controllo. Gli esiti delle votazioni non consentono una lettura univoca, ma riflettono la situazione delle specifiche società”, premette Firpo. “Quello che emerge è una crescente attenzione alla qualità delle candidature e alla trasparenza del processo che porta alla formulazione delle proposte di nomina. Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate fornisce una guida importante in questo senso, richiedendo al board uscente di curare che il processo di nomina e di successione degli amministratori sia trasparente e funzionale a realizzare la composizione ottimale dell’organo amministrativo”.

“A questo scopo, il Codice raccomanda di costituire un comitato nomine, di effettuare una autovalutazione e, tenendo conto dei suoi risultati, di formulare orientamenti a chi presenta le liste sulla composizione ottimale sotto il profilo quali-quantitativo del nuovo board”. Una prima conclusione è dunque che “dalle nostre analisi risulta che le società si stanno muovendo in questa direzione, ma che ci sono ampi spazi di miglioramento: da un lato, gli orientamenti potrebbero essere più analitici e pubblicati con maggiore anticipo, dall’altro, chi presenta le liste dovrebbe fornire una più chiara indicazione sulla rispondenza delle candidature ai criteri indicati dal board uscente”, spiega Firpo. Che poi fa un paragone. “Negli altri principali paesi, il board uscente svolge un ruolo più pregnante nel processo di nomina, assumendosi la responsabilità di presentare le candidature. In Italia, questa prassi, pur consentita dall’ordinamento e prevista dagli statuti di molte società quotate, stenta ad affermarsi”.

Un’altra questione riguarda direttamente la sovranità dell’assemblea e dei suoi azionisti. Una sovranità che la mano della politica non dovrebbe toccare, mai. “Il nostro ordinamento assicura la sovranità dei soci in assemblea, soprattutto nella nomina degli amministratori. Il problema è assicurare che questa sovranità si rifletta in una composizione del board adeguata ai compiti, sempre più articolati e complessi, che deve svolgere”, chiarisce il dg di Assonime. Per il quale occorre mettere mano a certi equilibri e certe regole.

“L’attuale sistema di elezione, basata sul cosiddetto voto di lista, ha svolto un ruolo importante nel valorizzare il ruolo dell’azionariato diffuso, ma oggi merita un ripensamento, alla luce dell’evoluzione degli assetti proprietari e della crescente importanza che i board svolgono nel definire le strategie delle imprese in un’ottica di sostenibilità. I board delle società, quotate ma non solo, devono assicurare al contempo un elevato grado di coesione e un adeguato mix di competenze, per poter affrontare le sfide poste dalle trasformazioni ambientale e digitale alle strategie delle imprese”.

E, ancora una volta, un paragone. “Anche qui, l’esperienza degli altri principali Paesi fornisce indicazioni interessanti, come il rinnovo parziale degli organi, per assicurare una certa continuità nella composizione e una costante attenzione al suo adeguamento (il cosiddetto staggered board), e il voto sui singoli amministratori, per consentire agli azionisti di esprimersi sulle qualità individuali dei candidati. Non esiste probabilmente un sistema ottimale, ma proprio nell’ottica di valorizzare il ruolo del mercato, il nostro sistema normativo sulla nomina potrebbe essere reso più flessibile, consentendo alle società di adottare il modello più adeguato alle proprie caratteristiche”.

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