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Europa chiusa, Cina aperta sul 5G? Cosa non torna nella retorica di Pechino

La diplomazia cinese critica l’Ue per le restrizioni su Huawei e sventola i contratti di Nokia ed Ericsson con China Mobile. Ma le quote di mercato e le restrizioni dicono ben altro

“Mentre la Cina si apre, l’Europa si chiude”, ha scritto Wang Lutong, capo del dipartimento Europa del ministero degli Esteri cinese, su Twitter. Il diplomatico basa il suo ragionamento che la finlandese Nokia e la svedese Ericsson hanno contratti con China Mobile per la rete Ran 5G mentre Huawei “si trova a far fronte a ostacoli elevati per entrare nel mercato europeo”. Ciò accade, osserva, “contrariamente a quanto sostenuto da alcuni che la Cina escluderebbe le società di telecomunicazioni europee dal proprio mercato”. Tuttavia, come ha notato Noah Barkin del German Marshall Fund, Huawei ha quasi il 60% del mercato 5G tedesco (e oltre il 50% in Italia) mentre Nokia e Ericsson si fermano sotto il 5% di quello tedesco.

Il tweet del diplomatico arriva a poche settimane dalla decisione dalla diffusione della nota con cui la Commissione europea aveva definito “giustificate e conformi” alla toolbox 5G pubblicata a fine 2020 le decisioni assunte dai Paesi membri dell’Unione che hanno l’obiettivo di limitare o escludere Huawei e Zte dalle reti 5G. Inoltre, l’esecutivo comunitario aveva invitato gli altri a fare lo stesso: “Data l’importanza dell’infrastruttura di connettività per l’economia digitale e la dipendenza di molti servizi critici dalle reti 5G, gli Stati membri dovrebbero attuare la toolbox senza indugio”. Davanti a queste “gravi vulnerabilità” serve agire “il prima possibile”, aveva dichiarato Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno.

Huawei aveva replicato con una nota, dichiarandosi “fermamente” contraria a quanto dichiarato dalla Commissione europea, i cui commenti “non si basano su valutazioni verificate, trasparenti, obiettive e tecniche delle reti 5G”.

Ma, come spiegato su Formiche.net, alla base di certe restrizioni – e della raccomandazione di oltre tre anni fa del Copasir al governo italiano – ci sono due leggi cinesi (National Security Law e Cyber Security Law) che impongono la collaborazione di cittadini e imprese con l’intelligence. Su questo punto aveva insistito anche Nathaniel Fick, ambasciatore straordinario per il cyber-spazio e la politica digitale del dipartimento di Stato americano, rispondendo così a una domanda di Formiche.net: “Abbiamo avuto ampie prove del fatto che il rapporto del governo della Repubblica popolare cinese con Huawei è tale che Huawei si impegna a condividere con il governo le qualsiasi informazione che fluisce attraverso le reti Huawei quando richiesto”. E ancora: “Non è così per il governo svedese e per Ericsson. Non è così per il governo finlandese e Nokia. Non è così per il governo sudcoreano e Samsung. E non è così per il governo americano e per la costellazione di aziende Open Ran che stanno crescendo negli Stati Uniti”.

Al contrario, un recente rapporto di Strand Consult racconta come i paletti cinesi alla tecnologia straniera abbia una lunga storia iniziata già nel 1996. Inoltre, le restrizioni praticate dalla Repubblica popolare “continuano a evolversi e sono sempre più sofisticate”, si legge. A queste si sommano “politiche industriali ed economiche volte a promuovere le imprese statali e i campioni nazionali della Repubblica popolare cinese nei settori di Internet e delle tecnologie dell’informazione”. Tutto accade alla luce del fatto che la stesa Cina definisce Internet come un campo di battaglia di ideologie concorrenti e giustifica le restrizioni come misure per proteggere gli interessi dello Stato. Infine, c’è una grossa differenza: negli Stati Uniti e nell’Unione europea le restrizione ad aziende cinesi richiedono lunghe procedure e possono essere contestate nei tribunalI; in Cina, invece, le aziende straniere possono essere bloccate arbitrariamente senza alcuna spiegazione o controllo giudiziario.

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