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In Gabon manganese e colpo di Stato sono legati. L’analisi di Torlizzi

Secondo l’esperto di materie prime, quello del Gabon è un episodio di un più grande fenomeno diffuso in tutto il Sud Globale, causa di distorsioni nella struttura economica attuale. Ma anche fonte di opportunità per il nostro Paese

Il colpo di Stato in Gabon che ha attirato l’attenzione della comunità mondiale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella competizione per le risorse. Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime, ha accettato di spiegare a Formiche.net quali sono i possibili impatti della crisi in Gabon per l’Italia, e non solo.

Dottor Torlizzi, il Gabon viene considerato un Paese dall’altissima rilevanza geostrategica. Per quale motivo?

Per le sue ricche importanti riserve minerarie. Il Gabon è uno dei maggiori produttori mondiali di manganese, un minerale particolarmente utilizzato nel settore della siderurgia, dunque di interesse per le potenze di tutto il mondo, più o meno grandi. La Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, dipende per il 20% del fabbisogno nazionale di manganese dalle risorse esportate dal piccolo Stato africano, per il quale questo minerale rappresenta la principale fonte di introiti. Il Paese è anche un produttore di petrolio, anche se i livelli di produzione non sono particolarmente alti. Tuttavia, malgrado la bassa produzione relativa (all’incirca lo 0,2% della produzione mondiale), il Gabon è un membro dell’Opec, con tutti i vantaggi e le opportunità che ne derivano. Inoltre, anche i depositi di ferro sono abbastanza diffusi attraverso il territorio gabonese, fattore che rende questo Stato ancora più importante per la dimensione dell’industria siderurgica globale.

Quanto possono impattare i fatti avvenuti nelle ultime ore sulla supply chain globale del manganese?

È ancora troppo presto per dirlo. Ma, sul piano potenziale, l’impatto potrebbe essere importante. La società francese Aeranet, primo produttore privato mondiale di manganese proprio grazie ai giacimenti esistenti in Gabon, ha annunciato in data 30 agosto la sospensione delle attività nel Paese africano. Se quest’annuncio si concretizzerà, potremmo assistere ad un’inversione di tendenza nell’andamento dei prezzi del minerale, che da un picco di 7000 $ al chilo è arrivato a toccare i 2000 $.

Possiamo considerare gli eventi in Gabon come l’ennesimo episodio di un più diffuso trend registrato negli ultimi anni?

Assolutamente sì. Stiamo assistendo a smottamenti geoeconomici in tutto il mondo. Da tempo si stanno verificando fenomeni di “nazionalismo” legato alle risorse: nei Paesi con stabilità geopolitica questo si traduce in contingentamenti e blocco delle esportazioni (come il riso nel caso dell’India, o il nichel nelle Filippine o in Indonesia). In quelli più instabili invece questo “nazionalismo minerario” contribuisce a causare i colpi di Stato. Non è un caso che negli ultimi anni ci sia stata un’esplosione di golpe in Africa, territori ricchi di materie prime. Si è capito dalla pandemia che chi ha il controllo delle risorse ha vantaggio. Queste sono fasi di grandi cambiamenti, che devono essere monitorate con grande attenzione, come tutti i distanziamenti dallo status quo. Chi aveva una presenza importante nei Paesi interessati da queste dinamiche è a rischio di cambiamenti in negativo, mentre per quelli “assenti” queste dinamiche rappresentano un’opportunità. Alcuni come la Francia e la Cina vedono come un rischio la situazione, mentre l’Italia può trarre vantaggio da questi mutamenti.

Quali sono secondo lei le opportunità per l’Italia?

L’Italia, con la sua presenza militare ma anche con i processi di dialogo instaurati nel continente, ha grandi opportunità. La ricchezza mineraria dei Paesi africani è di assoluto interesse per il settore manifatturiero italiano, che dovrà a un certo punto fronteggiare una carenza di materie prime. Un problema mitigabile attraverso una fonte di approvvigionamento diretto. Attenzione però: non si deve perseguire un approccio predatorio come quello impiegato nel secolo scorso e in quello ancora prima, ma uno incentrato sulla collaborazione e sull’equipollenza dei partner. E il Piano Mattei rappresenta la declinazione perfetta di questo approccio.

E in questa situazione qual è il ruolo della Russia?

Anche la Russia, a causa della nuova guerra fredda iniziata con l’aggressione russa all’Ucraina, è un attore particolarmente interessato a questa corsa alle risorse. Anche se il teatro ucraino è quello più drammatico, a causa dei combattimenti ad alta intensità, in Africa si stanno combattendo una serie di proxy wars dove non è facile fare la distinzione tra il ruolo e gli interessi degli ‘sponsor’ e quello della voglia di riscatto delle popolazioni africane; inoltre, la nuova forma che prenderà la Wagner in seguito alla (apparente) morte di Yevgeny Prigozhin potrebbe cambiare la capacità di penetrazione russa nel continente. La situazione è altamente fluida.

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