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Ecco tre aspetti da chiarire sul Pnrr. Scrive Stagnaro (Ibl)

L’accordo sulla terza e quarta rata consente all’esecutivo di superare una fase difficile, segnata da incomprensioni ed errori di comunicazione con Bruxelles. Nei fatti questa schiarita rappresenta una tregua, che però non va interpretata come la fine delle ostilità. Il commento di Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni

Dopo mesi di maltempo, il governo è finalmente riuscito a portare un poco di bonaccia sul mare del Pnrr. L’accordo con la Commissione sulla terza e la quarta rata, in particolare, consente all’esecutivo di superare una fase difficile, segnata – prima e più che dalla difficoltà a rispettare la tabella di marcia del Piano – da incomprensioni ed errori di comunicazione con Bruxelles. Nei fatti questa schiarita rappresenta una tregua, che però non va interpretata come la fine delle ostilità. Ci sono almeno tre aspetti che il ministro Raffaele Fitto dovrà chiarire, sia verso la Commissione, sia verso il Paese.

La prima questione riguarda la revisione del Pnrr. Il governo ha scelto di utilizzare la finestra di RepowerEU (il programma introdotto dall’Unione europea contro il caro energia) per fare pulizia di quei progetti che reputava maggiormente a rischio rispetto alla scadenza tassativa del 30 giugno 2026. A tal fine, da un lato ha cercato di spostare fuori dal perimetro del Pnrr gli investimenti con un maggiore coinvolgimento locale, assorbendo o rifinanziando quelli più centralizzati o che si basano su automatismi (come i crediti di imposta). Dall’altro, ha tentato di utilizzare le grandi partecipate dello Stato come strumenti per l’esecuzione del piano, compatibilmente con i vincoli esistenti. Le modifiche sono estese ma, tutto considerato, abbastanza contenute: come ha sottolineato Federico Fabbrini, a fronte della modifica di circa un terzo degli obiettivi del Pnrr (144 su 349), le risorse “spostate” sono appena 19,2 miliardi, grosso modo il 10 per cento del totale.

Il secondo tema concerne appunto il destino di questi 19,2 miliardi di investimenti che sono usciti dal Pnrr. Il governo ha assicurato che non saranno cancellati ma semplicemente spostati su altri canali di finanziamento, quali i fondi europei di coesione o il bilancio ordinario dello Stato. Se così fosse, saremmo di fronte a un paradosso: dopo aver lungamente discusso se fosse opportuno ridimensionare il Pnrr, finiremmo de facto per ampliarne i confini (che, peraltro, già il governo Draghi aveva fissato ben 30 miliardi di euro al di sopra della dotazione europea, attraverso l’invenzione del Fondo complementare).

Peggio ancora, ci troveremmo di fronte a una scelta compiuta non sulla base dell’utilità attesa delle singole opere, ma semplicemente della capacità di eseguirle entro una certa data. Le opere che si presume utili, ma che non si possono realizzare entro la tagliola del 2026, si spostano su altri capitoli: ma quelle che entrano sono veramente necessarie oppure servono unicamente a non perdere i soldi?

Infine, il dibattito sul Pnrr non può essere isolato dalla situazione più generale dei rapporti tra il governo e la Commissione. Non ci sono soltanto le legittime differenze politiche o retoriche. Il terreno su cui la tensione è massima è la ratifica del Mes, che da mesi rimane appesa alle incertezze della politica italiana. L’incapacità del governo di superare questo impasse sta diventando un serio incidente, perché impedisce l’entrata in vigore di un trattato che ha ricevuto il via libera da parte di tutti gli altri Stati membri.

Palazzo Chigi dovrebbe pertanto prendere in mano il dossier e chiuderlo, una volta per tutte, anche perché l’Italia è uno dei Paesi che hanno il maggior interesse alle modifiche concordate proprio sul Mes. La premier Giorgia Meloni dovrebbe invece giocare d’attacco – e non sempre e solo in difesa – spostandosi sul campo delle riforme. Il Pnrr è una sorta di contratto tra gli Stati e l’Unione che prevede alcuni adempimenti: ma nulla vieta di andare oltre.

Le raccomandazioni specifiche per Paese contengono un più ampio catalogo di interventi, che non solo aiuterebbero a sciogliere le diffidenze reciproche, ma farebbero bene all’Italia e alla nostra capacità di generare ricchezza.
Perché il governo non riparte da qui?

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