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Dal cristianesimo al cristianismo: ce n’è traccia anche in Vannacci

Ho sentito, nel libro di Vannacci, qualcosa di affine a chi dice che noi siamo cristiani anche se non lo siamo, un cristianismo che riduce il cristianesimo da un lato a un sacco di pietre da portare sulle spalle e dall’altro a un fatto etnico, identitario, che personalmente ritengo più pericoloso della secolarizzazione se vogliamo difendere le nostre radici. La riflessione di Riccardo Cristiano

Anni fa mi capitò di intervistare Alberto Moravia che verso la fine del nostro colloquio mi disse: “Dice che mi contraddico? Sì, mi contraddico”. Me ne sono ricordato leggendo il libro del generale Vannacci e questo mi ha incuriosito. Lui scrive di amare la famiglia tradizionale perché “se il Creato e la naturale evoluzione dell’uomo ha portato nella quasi totalità delle terre emerse alla costituzione di un nucleo familiare formato da uomo, donna e figli – con le dovute declinazioni del modello – non possiamo invocare le rare eccezioni a questa evidente realtà per affermare che la famiglia naturale non esista”. Dunque per lui, come per la Chiesa, esiste una legge naturale, che è cosa buona, da seguire. Eppure quando parla di ambiente la natura diventa matrigna: “In verità, la Natura se ne frega del bene e del male! Questi due principi regolano la vita umana e sono alla base delle religioni, della filosofia, della teologia e della morale ma non esistono nell’Universo. Il mondo è caos irrazionale, disordine, entropia, susseguirsi concitato di eventi catastrofici, vuoto, temperature estreme, forze incommensurabili e, sinceramente, non si vuole complicare la vita mettendosi a disquisire anche di etica”. Se questa è la natura della natura, qual è allora la natura, per lui, della famiglia naturale? E la legge naturale? Mi è parsa una contraddizione e questo mi ha interessato, come quel che mi disse Moravia.

Ma questo non mi è bastato per pensare di scriverne. Non sono un tuttologo e volevo capire se il libro abbia a che fare con Dio, oltre che con la famiglia e la patria, di cui ci parla molto. Mi è parso di si, anche se l’ ordine rispetto alla famosa triade “Dio, patria, famiglia” mi è parso “patria, famiglia, Dio”. Ma il Dio dei cristiani c’è e così ho deciso di scrivere alcune mie impressioni, sui primi capitoli, quelli che precedono i temi più scottanti e di cui molto si è già detto evidenziando tesi per me respingenti, per quanto ho letto a mio avviso gravi. Ma il rapporto tra fede e identità mi ha sempre interessato. E mi sembra che nel libro ci sia.

Non sono baciato, o afflitto, da un particolare amore patrio, eppure sin dall’inizio è emersa in me una particolare gratitudine per il mio Paese, per quell’Italia della Prima Repubblica nella quale sono nato e che oggi ammiro perché seppe dare al mondo un grande contributo culturale e politico oggi attualissimo per tutti; la teoria degli opposti estremismi. Sono proprio uguali gli opposti estremismi nella loro distruttiva inconciliabilità. È questo l’unico scontro di civiltà in cui credo, quello tra i moderati di ogni cultura e i loro oppositori, gli opposti estremisti. Ho sentito questa gratitudine crescere nel dipanarsi del discorso sull’ambiente, che dona al campo avverso ogni estremismo per argomentare un apparente agnosticismo ambientale, che definisco apparente perché stranamente in quasi cento pagine non ho trovato riferimenti alla questione amazzonica, che non credo sia irrilevante per capire come superare i rischi odierni. Sono lontano da ogni estremismo, anche ambientale, ammiro la forza della moderazione, ma non vedo buon senso nella logica ricerca di una strada realista per seguitare a respirare lasciando perdere il sogno di rendere l’aria purissima ma omettendo la nostra malattia polmonare. Come dimenticarsi dei polmoni se davvero si propone di accontentarsi di seguitare a respirare?

Il meccanismo degli opposti estremismi però diviene evidente quando l’autore ci porta nel mondo di quello che chiama multiculturalismo. Parte da un nome, quello di Huntington, molto di moda tra chi crede che esistano civiltà buone e civiltà cattive, incompatibili. Perché incompatibili? L’esempio lo trae dal suo vissuto: “Nel 1993, a Mogadiscio, ho assistito impotente al taglio di una mano e di un piede ad un giovanissimo somalo che si era macchiato di un furto. Questo concedeva la “cittadinanza” somala in tema di diritti e doveri”. Proprio mentre leggevo ho sentito proporre la castrazione chimica per chi commette il reato di stupro e mi sono chiesto se le culture che ispirano simile visioni giuridiche siano opposte o non siano analoghe, come tutti gli estremismi, analoghi o opposti che siano. Il discorso diventa grave se si considera che leggevo sui giornali dello stupro di gruppo a Palermo, sette nostri ragazzi ai danni di una nostra ragazza, e poi nel libro questa tesi: “Anche lo stupro, come già detto, può essere giustificato nell’Italia aperta, inclusiva e multiculturale, visto che chi sbarca sulle nostre coste viene da paesi così diversi che non può immaginare che la violenza carnale sia vietata nel Belpaese”. Davvero? Leggo bene a pagina 98? Eppure quei sette palermitani lo sapevano che è proibito, risulta evidente dalle loro conversazioni private captate dagli inquirenti. Come lo sapevano le migliaia di giovani che, si dice, erano disposti a pagare per averne il filmato. E dunque? Questo punto non potrebbe essere scristianizzante, molto più del vituperato secolarismo?

Se c’è una cosa indiscutibile per tutti i cristiani, eccezion fatta per Monsignor Viganò, è l’inconciliabilità della loro visione con il manicheismo. È stato chiarito da Sant’Agostino e da allora pochi lo hanno discusso. Non ci sono per i cristiani i figli del Bene ed i figli del Male, il grano e la zizzania crescono insieme, in ciascuno di noi. Anche nei rom, di cui incomprensibilmente, nonostante li si ricordi a Birkenau quali perseguitati, si dice; “ È inumano esigere di applicare il divieto di accattonaggio ai Rom, visto che da secoli hanno basato la loro sopravvivenza su tale espediente”.

Rom vuol dire “uomo libero” e non risulta che sia un accattone il professor Santino Spinelli, che lo siano stati negli anni Venti del secolo scorso i letterati rom riuniti a Mosca intorno alla rivista “Nevo Drom” (“Nuovo cammino”), o i tanti scrittori rom moldavi, come George Kantya, o ungheresi come Menyhért Lakatos. Il discorso merita che si estenda la nostra attenzione dai gruppi intellettuali più ampi e noti a chiunque scriva di loro anche alla tedesca sinti Philomena Franz (1922) autrice di Fra amore e odio (1985) e dedicato all’esperienza del lager. Fare di rom e sinti un popolo di figli del bene sarebbe un errore, come lo é quello opposto. E poi; tutti i nazionalisti sapranno che da tempo immemore la stragrande maggioranza dei rom italiani sono nostri connazionali e concittadini. O no?

Dunque questa per me è una visione opposta a quella cristiana, ma potrebbe essere che questo interessi a me ma non all’autore; e però proprio nella pagina citata trovo a conferma che il punto interessa questa denuncia; “ Analogamente, pur senza contravvenire a leggi e a disposizioni normative, in nome del multiculturalismo si arriva a difendere qualsiasi cosa: diventa lecita l’istanza di qualche minoranza che vorrebbe evitare di festeggiare il Natale nelle scuole, perché esiste anche chi non celebra la nascita del Cristo; l’Unione Europea emana disposizioni intese a rendere inopportuni gli auguri in occasione delle feste cristiane, poiché conviviamo con chi cristiano non è”. Quel “conviviamo” sembra proprio riferirsi a un soggetto sottinteso, “noi cristiani”. Dunque il cristianesimo c’entra. E da tempo non anela più ad essere religione di Stato, almeno qui in Europa, visto che il suo fondatore, sfidando ogni tentazione teocratica, ha separato il potere di Cesare da quello di Dio. Faccio un esempio per spiegare come un cristiano a mio avviso possa accettare la circolare europea: essa dice ai funzionari europei di augurare Buone Feste, senza specificare. Sappiamo ad esempio che la Pasqua cristiana e quella ebraica cadono nello stesso tempo, e in molti luoghi europei, come Roma ad esempio, gli ebrei ci sono da prima dei cristiani. Siccome noi, per fortuna, non abbiamo più religioni di Stato, le autorità pubbliche farebbero proprio una brutta cosa augurando buone feste nel tempo in cui ne arrivano due? Un cristiano non potrebbe capirlo? Immaginiamo che in un Paese arabo islamico con presenza cristiana (certamente più antica della maggioritaria) il Ramadan arrivi nella seconda metà di dicembre; una circolare come quella europea sarebbe disdicevole? Non sarebbe apprezzabile? E poi, visto che il generale parla di convivenza con chi cristiano non è, chi è cristiano? Chi dice di esserlo per dato anagrafico oppure chi agendo segue gli insegnamenti del suo Maestro? Lo dico perché questa frase da parte di chi sostiene di voler difendere il Natale mi ha stupito: “La dittatura delle minoranze ha prevaricato il concetto di democrazia dove la maggioranza decide ed il resto si adegua”. Davvero? Dovrei adeguarmi a cosa? Mi è venuto così naturale domandarmi, restando al discorso di chi cristiano è o non è, se Gesù si sia adeguato alle idee, alla cultura del suo tempo. Si adeguò salvando l’adultera dalla lapidazione? Eppure questo pensiero che a me risulta contrario all’idea della testimonianza cristiana, ho avuto l’impressione che venga diffuso non contro, ma nel nome della fede cristiana come la immagina l’autore. Certo non pretendo di dire che io sappia cosa sia e non sia cristiano. Ma che Cristo non si sia adeguato all’opinione del tempo mi sembra evidente, come mi sembra evidente che dai tempi di Sant’Agostino in avanti si sia capito cosa significhi la parabola del grano e della zizzania. Dio ha seminato il grano di giorno, ma di notte il nemico ha seminato la zizzania. Nello stesso campo, non in un altro. Siccome il generale lo sa che il Vangelo dice così, saprà anche cosa vuol dire: che dobbiamo accettare il fatto che la vita è una mescolanza di grano e zizzania. Il Signore, per i cristiani, ci chiede la pazienza di vivere accettando questa realtà, in modo vigile e operoso. Non si tratta di estirpare subito il male, ma di far crescere e dare forza al bene. Così per altro ci salvano tutti, anche noi, dal doverci interrogare sull’universalità delle mafie. La sua tesi però è funzionale a una perorazione: i diversi non possono coesistere e lo dimostrerebbero gli Stati Uniti, che se non sono definiti proprio un paese fallito, sebbene per lui abbiano avuto un presidente di origini africane e non afro americano, questo dipende dall’essere ancora a trazione Wasp, sebbene la maggioranza assoluta della Corte Suprema sia cattolica e non protestante come i Wasp, che sta per White Anglo-Saxon Protestant. Anche qui mi è venuto in mente che a Pentecoste il miracolo non era unirsi tra chi parla lo stesso idioma, ma imparare ogni altro idioma. È l’incontro l’obiettivo, non la separazione. E infatti Martin Luther King nessuno lo ricorda come nigeriano di etnia yoruba, nonostante i natali del padre, ma come statunitense, leader degli afro americani.

Siamo ovviamente alle pagine sulla tragedia delle migrazioni forzate, che definisco così non perché io sia un vecchio terzomondista, ma perché so che i miei avi (campani) che passarono per le forche caudine di Ellis Island non lo fecero per libera scelta ma per non far morire di fame i loro figli. Dunque chi parte in quelle condizioni, ieri e oggi, per me è un migrante forzato. Non è un piccolo Einstein che va a cercare gloria nel Paese di bengodi, ma è uno che ha i soldi per scappare, o salvare i suoi figli da una vita all’inferno, che a differenza della stagione all’inferno di Rimbaud non ricorda un tempo in cui la sua vita era un festino in cui tutti i vini scorrevano.

Qui la mia lettura del libro è finita, non ho trovato l’interesse, o la forza, per proseguire. Ma per il punto che più mi ha interessato, di un cristianismo che non ha tracce per me di cristianesimo c’è molto. Infatti anche Gesù, è noto, è stato un migrante forzato. Non voleva emigrare, ma il suo diritto a non emigrare è stato infranto da Erode, che voleva eliminarlo. E i genitori lo hanno portato in salvo, in Egitto. Questo non vuol dire che sia cristiano solo chi accetti di essere sommerso dall’ingresso di stranieri disperati; ma che è certamente cristiano chi sa riconoscere la loro condizione e quindi è consapevole del contesto nel quale si trova. Il generale sostiene che i flussi migratori si possono bloccare, ed ha ragione. Cita, giustamente, l’Arabia Saudita, che c’è riuscita:“In Qatar, negli Emirati Arabi, in Oman, in Arabia Saudita non si approda clandestinamente, eppure per chi viene dall’Afghanistan, dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’Indonesia queste destinazioni sono molto più vicine e facili da raggiungere”.

C’è anche di più nel successo Saudita. Proprio in questi giorni sono emerse prove satellitari dei campi di sterminio sauditi di etiopi in fuga dal loro Paese devastato dalla guerra tribale fomentata dal loro governo. Con lo sterminio intenzionale degli etiopi l’operazione è riuscita. Ma è difficile ritenere che lo sterminio, quello messo in atto da Erode ai suoi tempi, possa divenire un modello cristiano. La risposta cristiana ovviamente non è trapiantare tutti gli etiopi in Arabia Saudita, ma ritenerli degli esseri inferiori, pericolosi, può aiutare a capire che il grande impegno cinese a pacificare lo Yemen avvicinando sauditi e iraniani per riaprire i commerci miliardari con il Corno d’Africa produrrà poco o nulla se di là dal Mar Rosso ci saranno solo famiglie ansiose di fuggire, come secoli addietro dovette fare quella di Nazaret. I modelli citati, quello saudita che ora sappiamo basato sullo sterminio e quello russo, che blocca i migranti anche perché ora dalla Russia si emigra anche a piedi, non sembrano i migliori per dimostrare la fondatezza della linea proposta. Della Russia ad esempio si cita una politica ricca ed efficace: “Ma in Russia, nonostante l’incredibile estensione del territorio e l’impossibilità di gestirne e controllarne le frontiere, l’immigrazione clandestina non esiste o è un fenomeno relegato alle popolazioni nomadi delle steppe asiatiche. Il clandestino in Russia non lo vai a fare perché sai che non avrai vita facile”.

A me sembra che il caso Navalni, lo scioglimento del Centro Sakharov e l’arresto del co-presidente e dei membri dell’Ong Golos, specializzata in controlli elettorali, dicano che anche molti russi non hanno vita facile in Russia. La stessa eliminazione di Prigozhin non è un bel modo di chiarirsi tra amici. Ma restando a ciò che mi ha trattenuto nella lettura sin qui e poi indotto a fermarmi, direi che è il discorso su noi europei e i migranti: ho sentito cioè qualcosa di affine a chi dice che noi siamo cristiani anche se non lo siamo, un cristianismo che riduce il cristianesimo da un lato a un sacco di pietre da portare sulle spalle e dall’altro a un fatto etnico, identitario, che personalmente ritengo più pericoloso della secolarizzazione se vogliamo difendere le nostre radici.

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