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Sviluppo sostenibile, Unione europea e Regno Unito. Il punto di Angiolillo

Il primo ministro Rishi Sunak ha annunciato di volere modificare alcuni degli impegni ambientali del governo “ammorbidendone” la portata. Il dibattito sui costi della transizione energetica e sulle possibilità di rispettare i programmi è ancora in pieno svolgimento. Non solo nel Regno Unito. L’analisi di Mario Angiolillo

Il contrasto al Climate Change e più in generale il raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile, sulla base dell’Agenda Onu 2030, rappresentano una delle più importanti sfide all’ordine del giorno su scala globale.

L’Unione Europea è fortemente impegnata in questo senso, ad esempio con gli obiettivi posti con il Green Deal europeo e l’European Pillar of Social Rights, e con il Next Generation Eu. O con la direttiva sul reporting aziendale, la Corporate Sustainability Reporting Directive (Csdd) di recente entrata in vigore. O, ancora, con la proposta di direttiva sulla Due Diligence aziendale sulla sostenibilità, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd), che richiederebbe ad alcune tipologie di aziende un ancora maggiore impegno in materia di sviluppo sostenibile.

È in questo contesto che bisognerebbe valutare la posizione assunta in queste ultime settimane da uno dei principali partners dell’Ue su queste sfide, il Regno Unito.

Il Primo Ministro Rishi Sunak ha infatti annunciato di volere modificare alcuni degli impegni ambientali del governo “ammorbidendone” la portata.

Il governo di sua Maestà è impegnato su programmi ambiziosi per il raggiungimento dell’obiettivo Net Zero entro il 2050 già dalla elaborazione dei Ten Points della Green Industrial Strategy da parte del Governo Johnson, di cui avevamo parlato su queste colonne nel luglio 2021.

E ancora nello scorso marzo è stata messa a punto una nuova strategia per l’azzeramento delle emissioni dopo che l’Alta Corte di Giustizia aveva stabilito che il piano non conteneva sufficienti dettagli sul come raggiungere gli obiettivi.

Il piano del governo prevedeva, tra l’altro, di produrre entro il 2035 tutto il fabbisogno di elettricità da fonti a basse emissioni di carbonio (rinnovabili e nucleare), e di raggiungere una capacità di produzione di idrogeno di 10 Giga Watt entro il 2030.

Altro obiettivo è quello di catturare e immagazzinare tra i 20 e i 30 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030, utilizzando le nuove tecnologie a questo fine disponibili.

Vi è poi l’obiettivo di fare sì che non si vendano nuove auto a benzina e diesel a partire dal 2030, e quello, introdotto il Great British Insulation Scheme, di migliorare le prestazioni energetiche di circa 300.000 abitazioni a basse prestazioni.

Questi sono solo alcuni dei principali obiettivi di Londra in materia di contrasto al Climate Change.

Ma le scelte programmate si sono scontrate con eventi imprevedibili, dagli effetti della pandemia da Covid-19, alla crisi energetica e alla guerra in Ucraina, e ai modi in cui queste hanno impattato sugli effetti già presenti di Brexit.

Ed è anche per questi motivi che, secondo uno studio dei consiglieri indipendenti del governo del Climate Change Committee (Ccc), il programma del Regno Unito verso l’obiettivo Net Zero sarebbe già in ritardo rispetto a quanto programmato.

E il governo Sunak ha nei giorni scorsi annunciato di voler cambiare in parte la propria strategia, ad esempio posticipando alcune scadenze, come nel caso del  rinvio al 2035 del divieto di vendita di nuovi veicoli diesel e benzina. Oppure posticipando al 2035 l’esenzione concessa per eliminare gradualmente le caldaie a combustibili fossili. Il Primo Ministro si è inoltre impegnato a non procedere con le politiche che renderebbero obbligatorio migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni, prevedendo invece proposte per incoraggiare e sostenere i cittadini in azioni volontarie che vadano in tale direzione.

Rishi Sunak ha comunque confermato l’obiettivo di raggiungere il Net Zero entro il 2050.

Si è quindi aperto il dibattito su tali misure. Il governo, e quanti favorevoli a tale cambiamento di strategia, sostengono tale scelta con la necessità di non impattare sulle tasche dei cittadini, soprattutto in un momento di alta inflazione come quello attuale, pur rispettando le scadenze finali per il 2050.

Secondo i critici di tale posizione, invece, il cambio di strategia, con il conseguente rallentamento delle azioni finalizzate a raggiungerne gli obiettivi, potrebbe danneggiare l’intera economia britannica e avere notevoli effetti negativi per i cittadini.

Secondo il think tank indipendente Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu) il passo indietro rischia di esporre le famiglie ad un incremento dei costi per le bollette e per i trasporti, per effetto degli aumenti nel prezzo del gas e del petrolio.

Inoltre, secondo il think tank, procedere nella transizione potrebbe fungere quale catalizzatore di investimenti internazionali, mentre dare il messaggio di un rallentamento potrebbe farli perdere ed avere così effetti negativi sulle attese di nuovi posti di lavoro o sui posti di lavoro esistenti.

Secondo il Climate Change Committee impiegare sussidi di ampia entità per sostenere la transizione avrebbe effetti sulla fiscalità del Regno Unito per la necessità di reperire le risorse necessarie e quindi andrebbe ad impattare sui cittadini. Allo stesso tempo però il Climate Change Committee stima che i costi a breve termine potrebbero essere ampiamente compensati da benefici a lungo termine.

Il dibattito sui costi della transizione energetica e sulle possibilità di rispettare i programmi, anche nel Regno Unito, è ancora in pieno svolgimento.

Da tempo infatti è presente sui principali tavoli istituzionali internazionali un dibattito sulla necessità  di pensare ad azioni decise ed efficaci, ma in un’ottica di “Just Transition”, ovvero in grado di assicurare una transizione ecologica equa, inclusa l’equa ripartizione dei costi e benefici a livello sociale delle nuove politiche ambientali.

Quanto finora detto richiama però due riflessioni. La prima è di carattere generale.

Se il raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile rappresenta oggi una sfida urgente, globale ed epocale, che non ci si può permettere di mancare, questa è estremamente difficile da raggiungere per un singolo Stato.

Serve collaborazione tra i principali players sull’intero scacchiere internazionale.

E se in quest’ottica guardiamo a questa sponda della Manica, è fondamentale che sia l’Ue nel suo complesso a definire gli obiettivi, mettere in campo le risorse da impiegare, e coordinare/gestire le azioni necessarie, per raggiungere degli obiettivi che potrebbero non essere raggiungibili singolarmente per gli Stati Membri.

La seconda riflessione, in parte collegata alla prima, guarda invece alla sponda londinese della Manica e al dibattito, che presto torneremo ad approfondire, che si è aperto tra le forze politiche in vista delle prossime elezioni, che si terranno probabilmente nell’autunno 2024, sugli effetti di Brexit sul Regno Unito e sulla possibilità di una qualche “marcia indietro” rispetto ad essa.

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